FRIDA. VIVA LA VIDA

Un docu-film di Giovanni Troilo
con la partecipazione di Asia Argento

FRIDA. VIVA LA VIDA, prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital, è un film documentario che mette in luce le due anime di Frida Kahlo: da una parte l’icona, pioniera del femminismo contemporaneo, tormentata dal dolore fisico, e dall’altra l’artista libera dalle costrizioni di un corpo martoriato. Tra lettere, diari e confessioni private, il docufilm diretto da Giovanni Troilo propone un viaggio nel cuore del Messico suddiviso in sei capitoli, alternando interviste esclusive, documenti d’epoca, ricostruzioni suggestive e l’immersione nelle opere della Kahlo.Nel corso degli anni, Frida è diventata un modello di riferimento: ha influenzato artisti, musicisti, stilisti. La sua importanza ha superato perfino la sua grandezza. Nelle opere di Frida c’è un legame profondo tra dolore e forza, tormento e amore.

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FRIDA KAHLO: LA LIBERTÀ CHE GUIDA IL POPOLO

di Beatrice Fiorello

Frida Kahlo è oggi un assoluto must della cultura popolare. Citazioni e opere sono riproposte un po’ ovunque, tanto da sfiorare neanche troppo lievemente il concetto di “troppo mainstream” tanto caro ai modaioli: è quasi come una Beatlemania, viene presa e rimescolata un po’ in tutte le salse, e senza conoscere abbastanza di lei si corre il rischio di dimenticarsi che dietro alla popolarità c’è una persona reale, che ha vissuto un’esistenza dolorosa e tormentata.
Frida nacque nel 1907 in Messico. Contrasse la poliomielite in tenera età, e a diciotto anni rimase coinvolta in un incidente che le causò un’invalidità permanente e costanti dolori che la tormentarono fino al termine della sua breve vita, nel 1954. Figlia di un immigrato tedesco e di una mestiza, Frida crebbe in un ambiente intriso di tradizioni millenarie estremamente radicate e variegate. Sposò l’artista Diego Rivera, dal quale venne più volte tradita e lasciata.


La prima mostra di Frida Kahlo si tenne nel 1938 alla Julian Levy Gallery, grazie all’influenza del marito; ebbe un discreto successo, ma in pochi l’apprezzarono realmente mentre era in vita, un leitmotiv, questo, che ritorna più spesso di quanto dovrebbe nelle storie delle vite dei grandi artisti: basti pensare a Van Gogh, morto in miseria al freddo, o a Caravaggio, morto di stenti e di febbre su una spiaggia. Forse è la condanna del genio, non essere compreso dai propri pari.
Oggi, finalmente, Frida ha il suo meritato riconoscimento.
Repressa, perseguitata, sofferente, Frida è oggi un’icona per chiunque sia in condizioni meno che agevoli a causa della propria natura. È stata eletta a modello dal femminismo e dalla comunità LGBT, tanto per citare qualche corrente di rilievo.
Attribuire importanza a Frida Kahlo oggi che è famosa sembra ipocrita, come cominciare ad ascoltare la musica di un artista dopo la notizia della sua morte, eppure io credo che non ci sia vergogna né disonore nel farlo, anzi: rendersi conto della grandezza di una persona che in precedenza non si conosceva significa avere una mente aperta ed essere in grado di recepire, comprendere e accettare idee diverse dalle nostre.
E forse proprio qui risiede l’importanza di Frida: dalle sue opere non emerge una grandissima capacità tecnica, ma sono potenti, ipnotizzanti. Con pochi tratti di colore riesce a riversare sulla tela tutta la rabbia, l’impotenza e quell’urlo soffocato che non può essere udito, un gemito di dolore e frustrazione che resta chiuso in gola, perché se dovesse far vibrare l’aria sarebbe ignorato, o peggio diventerebbe oggetto di scherno.
Oggigiorno tutto va e viene, le idee sembrano essere tante e confuse, ognuno può dire la propria opinione senza la minima vergogna, anche quando è intrisa di crudeltà o di cieco odio, e nessuno sembra avere il coraggio di ribattere per paura di essere preso di mira.
Frida, invece, ribatte.
È muto il suo urlo dipinto, ma possente come un terremoto: guardando le sue pennellate colme di foga non si può non udire la vibrazione della sua giusta collera e non si può rimanere insensibili di fronte alla sua forza primordiale.
E allora, forse, se ci poniamo in ascolto e ci lasciamo trasportare, Frida potrà essere in grado di portarci con lei nel buio, e noi potremo ascoltare voci che prima si confondevano nel marasma, toccare mani che si tendono di fronte a noi e che prima avevamo ignorato, potremo ricordarci cosa significa fermarsi a guardare invece che lasciare che tutto passi.
Frida non è solo una moda. Frida ci ricorda che è sbagliato odiarci a vicenda per le nostre differenze: fin quando la libertà del singolo non prevarica quella altrui, è suo pieno diritto esercitarla, ed è dovere di tutti difenderlo. Frida ci porta ad ascoltare l’urlo straziante delle anime incatenate che anelano a liberarsi. Frida ci fa sentire piccoli e meschini per il nostro voltare la testa e tacere. Tornano alla mente le parole del pastore Martin Niemöller: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
Protestiamo.
Difendiamoci.
Non chiudiamo gli occhi davanti al messaggio di Frida Kahlo.

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FRIDA KHALO

Frida Kahlo, all’anagrafe Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderòn, è una pittrice messicana, nata a Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico, il 6 luglio 1907 e morta il 13 luglio 1954, a 47 anni: è ancora considerata un’importante icona dell’emancipazione femminile, oltre che una sensibilissima pittrice. Il padre era di famiglia ebreo-ungherese immigrata in Germania, dove era nato. Era arrivato in Messico dopo i venti anni, quando l’insorgere dell’epilessia lo aveva costretto ad abbandonare l’Università. Divenne un importante fotografo ed ebbe molto successo. Qui Wilhelm cambiò il suo nome in Guillermo e sposò, in seconde nozze, Matilde Calderòn, di origini spagnole, nata in America. Nel 1907 nacque Frida, la terzogenita, cui però piaceva dire di essere nata nel 1910, anno dell’inizio della rivoluzione messicana, guidata da Emiliano Zapata e Pancho Villa, che lei tanto ammirava. A 5 anni contrasse la poliomielite, che le deformò il piede destro e la obbligò a rimanere per nove mesi a letto. Il suo profondo bisogno di indipendenza e la ribellione alle consuetudini sociali la portarono tuttavia ad interessarsi alla boxe, al calcio, alla lotta libera, al nuoto. Era la figlia prediletta di Wilhelm, forse perché l’unica che poteva capire il senso di isolamento che si vive quando ci si sente malati. Per questa figlia Wilhelm scelse la migliore scuola di Città del Messico: la scuola Nazionale Preparatoria, che aveva da poco iniziato ad ammettere le ragazze. Lei era una delle 35 studentesse, contro 2000 studenti maschi. Ma la cattiva sorte era ancora all’agguato: mentre viaggiava su un autobus, il 17 settembre del 1925, questo si scontrò violentemente contro un tram ed un corrimano la trafisse alla schiena per uscirle dalla vagina.

 

Il suo corpo ne uscì ulteriormente straziato: fratture alla spina dorsale, alla clavicola, alle costole, al bacino, alla gamba, un piede maciullato, una spalla slogata per sempre. La medicina di quel tempo le impose 32 operazioni chirurgiche, corsetti ed altri rimedi ‘meccanici’, che spesso peggiorarono ulteriormente la situazione. Al tempo dell’incidente Frida aveva già un fidanzatino, Alejandro Gomez Arias, con il quale peraltro viaggiava sull’autobus il giorno dell’incidente, ma presto la storia con lui finì ed incominciò quella con il grande amore della sua vita: Diego Rivera.

 

L’incontro avvenne nella scuola di lei: lui aveva quaranta anni, era sposato, anche se aveva la fama di grande seduttore e stava dipingendo un murale. Fraternizzarono subito; lei era attratta da quest’uomo, ma non sapendo come conquistarlo e come gestire le emozioni che sentiva, cominciò a prenderlo in giro (con le sue compagne lo scherniva chiamandolo “Viejo panzòn” (vecchio ciccione), facendogli degli scherzi e cercando di fare ingelosire sua moglie, Lupe Marin, ma poi si persero di vista per un po’. Nel 1928 Frida si iscrisse alla Lega Giovanile Comunista e rivide Diego Rivera. Lui sicuramente non era un uomo di bell’aspetto: era grande e grosso, alto un metro e ottanta e pesava sui centocinquanta chili (mentre lei era di media statura e piuttosto esile). Era però un uomo molto spiritoso, disponibile, intelligente e molto apprezzato. Aveva già due matrimoni falliti alle spalle e, quando conobbe Frida, frequentava due sue modelle. Ciò nonostante si sposarono il 21 agosto del 1929, nonostante l’opposizione della madre di lei, che non accettava il futuro genero perché era: “…troppo vecchio, grasso, ateo e per giunta marxista!”. ‘Avreste dovuto vederci- raccontava Frida del giorno delle sue nozze – Frida la zoppa insieme a Diego il grande seduttore… una zavorra appesa a una mongolfiera’. Erano molto innamorati. “Lui è il mio bambino”, scriveva Frida, “il mio bambino nato ogni momento, ogni giorno da me stessa.” Nel dicembre 1929 seguì suo marito a Cuernavaca, dove lui doveva andare a dipingere un murale su incarico dell’ambasciatore americano.

 

In questo periodo Frida ebbe il suo primo aborto, cui ne seguì un altro nel 1932, presso l’ospedale Henry Ford di Detroit, evento che lei dipinse in un intenso quadro, che rappresenta un letto d’ospedale in un paesaggio deserto e desolante: lei distesa nuda in una pozza di sangue, il viso solcato da una lacrima bianca, la mano che tiene un cordone rosso che si apre alla rappresentazione di sei figure, con al centro il suo bambino non nato. Lo stesso anno, nel mese di settembre, sua madre morì di cancro. Frida odiava e disprezzava l’America e non sognava altro che tornare in patria: nel 1933 il sogno si avverò e la coppia si stabilì nella nuova casa. Diego era un buon marito, ma era molto infedele e forse per questo Frida cercò di ripagarlo con la stessa moneta, intraprendendo relazioni sessuali con uomini e donne. Frida era una donna con molto carattere e si faceva notare per il suo modo di vestire, molto stravagante: indossava infatti il classico costume delle donne messicane, composto di una camicia bianca ricamata, una lunga gonna rossa o viola, ed uno scialle ricamato. Aveva i capelli neri, lunghi, acconciati con nastri colorati e fiori di buganvillea ed indossava sempre gioielli, veri e finti. Rivera tollerava le sue relazioni omosessuali, ma si ingelosiva terribilmente quando Frida stringeva amicizia con qualche altro uomo. Nel 1937 ospitarono per un certo tempo anche Lev Trockij, esule dopo il trionfo di Stalin, e sua moglie. Frida iniziò con Lev, l’idolo politico del marito, una storia che la stancò presto, ma la spinse ulteriormente verso il “Mexicanismo”, il patriottismo messicano e a favore della rivoluzione spagnola.

 

Nel 1938 A. Breton, poeta e saggista surrealista, venne a conoscenza delle opere della pittrice messicana e ne fu tanto entusiasta da organizzarle una mostra a New York che si rivelò un successo: Frida vendette quasi tutti i suoi quadri e divenne a sua volta una star del surrealismo, anche se lei non si riteneva tale. “Sì, è vero, grazie al surrealismo ho avuto modo di frequentare ambienti artistici dai quali altrimenti sarei stata esclusa – diceva – ma non ho mai pensato di essere una pittrice con la volontà di fare della pittura surrealista. Ho sempre dipinto la mia quotidiana realtà di sofferenza e anche i miei quadri più strani non sono nient’altro che la fedele cronaca della mia vita. Nient’altro che questo”. A Parigi, dove Breton le aveva proposto di organizzare un’altra mostra, Frida arrivò che i quadri non erano stati ancora sdoganati; espose comunque, con qualche settimana di ritardo, grazie all’aiuto di Marcel Duchamp, alla galleria Pierre Colle. Il Louvre le acquistò un autoritratto e vennero a conoscerla anche Kandinskj, Tanguy, Mirò e Picasso. Durante il soggiorno parigino organizzò la partenza per il Messico di quattrocento lealisti spagnoli. Tornata in Messico, divorziò da Diego: i motivi non sono chiari, ma sembra che lui avesse cominciato a frequentare la sorella minore di lei, Cristina.

 

Nel 1939 dipinse Las dos Fridas (Le due Fride), il quadro più grande (172 x 173 cm) e più famoso, dove le ferite sono quelle psichiche, prodotte dalle vicende della vita. I visi delle donne sono rivolti allo spettatore. Gli occhi sono evidenziati da due foltissime sopracciglia, le labbra sono dipinte di rosso ed evidenziate dalla peluria dei baffi. La Frida lasciata da Rivera veste l’abito bianco di foggia europea macchiato dal sangue che viene trattenuto da una mano che impugna una pinza emostatica. La Frida vestita da messicana, amata da Rivera, tiene in mano un piccolo medaglione con Diego bambino. Le due sono sedute sulla stessa panchina, si tengono per mano e sono allo stesso tempo legate da un cordone-vena che parte dal cuore sano per arrivare al cuore malato, dolente, trafitto dalla separazione: dietro le spalle delle due donne si vede lo sfondo di un cielo tempestoso carico di brutti presagi. Quando arrivarono i documenti del divorzio il quadro “Le due Frida” era quasi terminato, dopo tre mesi di lavorazione.

 

Dopo la separazione, Frida si tagliò i capelli, smise di indossare il costume da tehuana, tanto caro a Rivera, se ne andò di casa e si recò a New York. Documenta questo evento il suo Autoretrato con pelo contado, dove, seduta con un abito maschile fuori misura, è circondata dalle ciocche dei suoi capelli tagliati. Ma l’8 dicembre 1940 Diego e Frida si risposarono. “Fu Diego a chiedermi di risposarlo… io fui felice di accettare, alla condizione che non avremmo più avuto rapporti sessuali… d’ora in poi l’avrebbe solo annusata”. All’inizio degli anni quaranta Frida divenne insegnante alla scuola di pittura e scultura La Esmeralda, a Città del Messico, dove i suoi allievi si facevano chiamare ‘los fridos’. Il 14 aprile 1941 morì Guillermo Kahlo, suo padre. Nel 1944 il suo declino fisico ebbe un’accelerazione, e lei cominciò a scrivere un diario, che tenne fino alla morte. Nel 1946 venne operata a New York: le fusero quattro vertebre con delle scaglie d’osso prelevate dal bacino e le venne inserita un’asta di metallo come rinforzo, per facilitare la calcificazione del tessuto osseo. L’operazione si rivelò un insuccesso totale. Frida cominciò a far uso di droghe. La pennellata si fece in questo periodo più imprecisa, sparirono i dettagli, ed il rosso cominciò a dominare i suoi quadri. Il dolore culminerà nel 1950 con l’amputazione di quattro dita del piede destro e di sette operazioni alla spina dorsale. Nel 1953 le amputarono una gamba: “mi hanno segato la gamba fino al ginocchio… La gamba… la mia gamba!”. Lo stesso anno Lola Alvarez Bravo organizzò la prima mostra personale delle opere di Frida Kahlo in Messico.

 

“Giunsi alla mostra in autoambulanza preceduta dal mio letto a baldacchino che Diego aveva fatto trasportare da casa e fatto montare all’interno della galleria”. Una foto dell’epoca la ritrae infatti coricata e circondata da amici, con il corpo smagrito e lo sguardo allucinato e sofferente. Nei mesi seguenti il morale di Frida era talmente basso, che cadde in una profonda depressione e tentò varie volte il suicidio. Sotto l’effetto delle droghe calmanti, sempre più massicce, la sua mente andava degenerando. Diego era talmente disperato che confidò ad un amico “… la ucciderei, se ne fossi capace, non posso tollerare di vederla soffrire così…” Dieci giorni prima di morire, in sedia a rotelle, partecipò alla manifestazione contro la destituzione da parte della CIA del presidente guatemalteco Jacobo Arbenz Guzmàn. Il 13 luglio 1954 morì per embolia polmonare.

Il suo funerale, in forma pubblica fu un grande evento popolare; il corpo venne cremato e le sue ceneri conservate in un’anfora precolombiana nella CASA AZUL.

VIVA LA VIDA aveva scritto otto giorni prima di morire, mentre stava terminando il suo ultimo quadro. Nel 1958 fu inaugurato il Museo Frida Kahlo nella stessa casa, nel quartiere di Coyoacàn, ove era nata e vissuta. Tutt’ora il museo è aperto al pubblico e conserva tutti gli oggetti appartenuti alla grande artista.

Tratto dal sito psicolinea.it

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“Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare”
Frida Kahlo

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MGF