NUREYEV – THE WHITE CROW

Regia di Ralph Fiennes – Gran Bretagna, 2018 – 122′
con Oleg Ivenko, Adèle Exarchopoulos, Chulpan Khamatova

Agli inizi degli anni Sessanta, Rudolf Nureyev (Oleg Ivenko) è un ballerino decisamente talentuoso che non ha ancora mostrato tutto il suo potenziale. Durante una tournée con il suo corpo di ballo, sarà folgorato dallo splendore di Parigi e dalla linfa culturale della capitale francese, tanto da non voler più far rientro a casa.
L’attore Ralph Fiennes dirige per la BBC la parziale biografia del ballerino più famoso del mondo, concentrandosi sugli anni della sua giovinezza per mettere in luce sia il talento che di lì a poco sarebbe stato manifesto al mondo intero sia il carattere caparbio e mai remissivo del protagonista, prigioniero del gioco storico politico del tempo. Molto riuscite l’idea di alternare i piani temporali del racconto tra infanzia e giovinezza e la suspence del finale.

Paolo Castelli

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UN FILM D’AMORE CON UNA SUA SINGOLARITÀ E UNA QUALITÀ VIRTUOSA DI MOVIMENTO.

Marzia Gandolfi – Mymovies.it

Ballerino intrepido e fuori da ogni schema, Rudolf Nureyev cresce in tecnica e splendore. Avido di conoscenza, la tournée del 1961 a Parigi è la risposta ai suoi desideri e al bisogno di conoscere più da vicino la cultura e il balletto occidentali. Le lezioni di inglese prese in Russia gli permettono di avvicinare i ballerini dell’Opéra, di comunicare con loro e di condividere i rispettivi punti di vista sulla danza e sul mondo. Incontenibile e ribelle, Nureyev sfora gli orari della ‘ricreazione’ e si attira i sospetti del KGB, che lo marca stretto. Le intemperanze hanno conseguenze drammatiche, il ballerino non andrà a Londra con la compagnia e deve essere immediatamente rimpatriato.
L’intervento tempestivo all’aeroporto di Le Bourget di Pierre Lacotte, ballerino e coreografo dell’Opéra, e Clara Saint, fidanzata del figlio di André Malreaux (Ministro della cultura), strappano Nureyev all’oblio. Il ballerino chiede asilo alla Francia, libero finalmente di danzare e di costruire la sua leggenda.


A partire dalla biografia di Julie Kavanagh, “Nureyev: The Life“, Ralph Fiennes realizza un film sulla vita del celebre ballerino. Più precisamente, la sceneggiatura si concentra su un episodio della sua vita, il suo rocambolesco passaggio all’Ovest nella primavera del 1961. All’epoca Rudolf Nureyev aveva solo ventitré anni e in Russia non tornerà che ventisei anni dopo. Se The White Crow non cambia la storia del genere, il biopic di Ralph Fiennes ha tuttavia una sua singolarità e una qualità virtuosa di movimento. Appassionato di balletto, l’attore applica al suo film i principi di verticalità e sospensione che creano l’idea di leggerezza e grazia del repertorio romantico. Sospeso tra due paesi, due mondi e due stili, il suo eroe rompe le linee (di confine) mantenendo la simmetria e la naturalezza nonostante lo sforzo dello slancio.

Per garantire la combinazione di esuberanza ed energia, di controllo e purezza, Ralph Fiennes sceglie Oleg Ivenko, ballerino russo della Tatar State Opera & Ballet. A lui affida la maniera del corpo e del cuore di restare appesi, sollevati in aria e sostenuti dal suo solo talento. In un curioso gioco metalinguistico, ritaglia per sé il ruolo di Alexander Ivanovich Pushkin, ballerino e insegnante di Nureyev e anni dopo di Michail Baryšhnikov, per ‘educare’ il ragazzo all’arte dell’interpretazione.
Ralph Fiennes seduce ancora una volta con un personaggio levigato, immobile, altrove che sembra uscito da un romanzo di Beckett. Seducente soprattutto nelle situazioni difficili, è il maître de ballet di un giovane Nureyev, silhouette celeste e felina che sovvertirà le convenzioni del balletto.

Oleg Ivenko è tecnicamente credibile e probabilmente più gestibile di Sergei Polunin, riserva alla sbarra (Yuri Soloviev nel film), che avrebbe aggiunto al ritratto di Nureyev lo spirito intransigente e l’appetenza di vita che lo muovevano, la bellezza selvaggia e il carattere temprato da tartaro che lo spinse (non senza dolore) a lasciarsi la Russia alle spalle. Oleg Ivenko come Artem Ovcharenko prima di lui (Rudolf Nureyev: Dance to Freedom) interpretano indefessamente il loro modello, sono luminosi e pieni di charme ma non possono competere con quel fauno superbo e ipersessualizzato che era Rudolf Nureyev. Girato tra Parigi e San Pietroburgo, tra l’Opéra Garnier e il Mariinskij, The White Crow esplora le potenti risorse drammatiche di un destino folgorante e prova, nei momenti meno didascalici e a esclusivo appannaggio di Adèle Exarchopoulos, a lavorare sul fondo, elaborando un dossier per tema: il debutto da ballerino, i suoi studi, la sua tecnica, le sue interpretazioni, i suoi gusti, la sua prima stagione sentimentale, la sua evasione nel momento più critico della guerra fredda.

Ralph Fiennes accompagna (letteralmente) al centro del palcoscenico un artista impulsivo, un uomo del suo tempo che privilegiò un’arte che non era più del suo tempo, che amava tutti i pericoli e li cercava, per dominarli e trionfare. Dissidente, rivoluzionario, étoile del ‘mondo libero’ o semplicemente ballerino? Chi era Rudolf Nureyev? Ralph Fiennes non si pone necessariamente la questione. The White Crow è un film d’amore, Ralph Fiennes ama Nureyev. Non è abbastanza?

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IL CELEBERRIMO BALLERINO TORNA A DANZARE PER RALPH FIENNES

Giulia ‘Nurofen’ Lucchini – Cinematografo.it

Rudolf Nureyev è stato uno dei più grandi ballerini del ventesimo secolo. Nessun altro interprete della danza classica ha mai suscitato nel pubblico la stessa vibrante eccitazione. Aveva tutto: fascino e genio. E soprattutto, anche se talvolta maldestro e imperfetto, aveva lo spirito giusto.
Il regista Ralph Fiennes ripercorre la vita di questo leggendario ballerino dall’infanzia sofferta nella gelida città sovietica di Ufa all’educazione alla scuola del Kirov a Leningrado, dal suo primo viaggio fuori dall’Unione Sovietica a Parigi nel 1961 fino al controverso allontanamento dalla sua patria.
A interpretare il giovane e ribelle Nureyev è il ballerino ucraino Oleg Ivenko, mentre Fiennes, oltre a dirigere il suo terzo film, si ritaglia il ruolo del famoso maestro russo di ballo Alexander Pushkin. Nel cast anche Adèle Exarchopoulos nella parte della giovane parigina Clara Saint.
Basato sul romanzo di Julie Kavanagh intitolato Rudolf Nureyev: The Life, Nureyev – The White Crow non riesce però pienamente a restituirci la storia dell’uomo che ha cambiato la danza. In parte per questioni di durata, il libro (in Italia edito da La nave di Teseo) consta di ben 874 pagine, in parte per via di una struttura narrativa troppo classica e convenzionale, costellata da flashback nella Russia degli anni ’40, che non rende sullo schermo la portata dello spirito anticonformista e rivoluzionario del grande danzatore.
Al centro c’è il divario ideologico tra est e ovest al culmine della guerra fredda e la diserzione del giovane Rudolf, ma il taglio su questa parte della vita di Nureyev non convince fino in fondo e soprattutto non rende la magia di quel ballerino che ha portato la danza su un altro livello. Il balletto è fatto di regole e disciplina, ma bisogna anche avere dentro una storia da raccontare. Qui c’era. Peccato però che ci siano anche troppe convenzioni. Le stesse che lui ha sfidato e rotto, nel film invece abbondano.

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UN OMAGGIO ALL’UOMO CHE RIVOLUZIONÒ LA DANZA CLASSICA MASCHILE.

Federica Aliano – Movieplayer.it

Per chi, come chi scrive, danza ed è appassionato di danza da tutta la vita, non è semplice approcciarsi a una recensione di Nureyev – The White Crow. Il film diretto da Ralph Fiennes viene inevitabilmente visto attravers il filtro di un amore incondizionato, quello verso l’uomo che cambiò la storia del balletto classico per sempre. Se oggi abbiamo il nostro Roberto Bolle, lo dobbiamo a Nureyev. Se oggi la danza classica è di un virtuosismo che rimane in equilibrio tra leggiadria e virilità, lo dobbiamo a Nureyev. Cresciuto in povertà in un paesino dell’Unione Sovietica, il giovane Rudolf sembrava essere sempre in debito con la sua madre patria. Quasi stesse rubando ciò che gli veniva concesso, ciò che invece si era infinitamente meritato. A ventidue anni, Rudi Nureyev entrò a far parte della compagnia Kirov Ballet. Una veneranda età per chi ha ancora molto da studiare. La compagnia portava la tradizione del balletto russo in tutto il mondo, fuori dall’URSS. A questi giovani danzatori era concesso soggiornare per lunghi periodi a Parigi, sempre sotto il rigido controllo di supervisori.
Rudolph Nureyev fu il primo personaggio di spicco a disertare il proprio paese, a chiedere asilo politico in un paese occidentale. Ciò all’epoca suscitò enorme scalpore. Ma fu la naturale conseguenza di un processo interiore a un giovane uomo affamato di arte e cultura.
Rudolf Nureyev: il danzatore più bravo del mondo diserta il suo paese
Proprio su questo periodo, immediatamente precedente la dolorosa e difficilissima scelta di Rudolf Nureyev, che si concentra il film diretto da Ralph Fiennes. L’attore inglese è alla sua terza regia, dopo Coriolanus e The Invisible Woman. Tutti film sofisticati e densi di sapere, proprio come è Ralph. Da sempre appassionato di cultura russa, il nominato all’Oscar per Schindler’s List e per Il paziente inglese parla correntemente russo e viene riconosciuto per le vie di Mosca. Era l’unico occidentale a poter dirigere in modo convincente un film su Nureyev, così in bilico tra l’amore per la sua casa e sua madre e insieme irresitibilmente attratto verso la sua natura di danzatore e il suo destino. Fiennes ritaglia per sé il ruolo del famoso maestro Alexander Pushkin, forte nell’insegnamento, debole nella vita personale, e restituisce l’immagine di un giovane Rudi tormentato e desideroso di affermarsi, di stravolgere, di rivoluzionare la danza pur affermandone con forza le regole. Dilemmi che si rispecchiano nella vita quotidiana, così diversa quando Nureyev è a Parigi e coltiva la sua amicizia con Clara Saint, colei che lo aiuterà nella richiesta di asilo. Insieme si divertono, bevono e fumano, vanno al cabaret, dove Rudi apprende la presenza scenica, il trucco, l’autoironia. Tutti elementi che lo aiuteranno a rivoluzionare consapevolmente la danza classica maschile.
La danza prima e dopo Nureyev
Si chiamava Vaclav Nijinski il primo rivoluzionario del balletto classico. La sua Sagra della primavera è un capolavoro assoluto e indiscutibile, un mistero di significati e significanti che si studia ancora oggi. Ma il suo percorso era in parte inconsapevole, in parte mirato alla creazione di un’opera conclusa e perfetta. Non concentrava solo su di sé il prodotto delle sue ricerche. Rudolf Nureyev era diverso. Egocentrico, consapevole del suo valore, imperfetto e in certi momenti persino rigido. La sua non era una tecnica perfetta, ma forse per la prima volta si assisteva alle esibizioni di un danzatore maschio che si faceva performer, che arrivava al pubblico. Prima di lui c’erano quelli che portavano la ballerina in braccio e gli altri danzatori che eseguivano passi di base e poi, per lo più, stazionavano in pose molto virili sul palco. Tutte le evoluzioni spettavano alle donne. Con un’elevazione fuori dal comune e una capacità di volteggio assolutamente perfetta, Rudolf Nureyev si portò alla ribalta. Il fondo del palco non era posto per lui.
Nureyev – The White Crow non è (solo) un film sulla danza
Tutto questo è presente nel film di Ralph Fiennes, che procede lento e si avvale della performance dell’esordiente Oleg Ivenko, dalla somiglianza pazzesca con il vero Nureyev. Il film, che procede lento e con dialoghi che suonano un po’ alieni rispetto a ciò a cui siamo abituati, non è una sequenza di scene di danza, non è il processo di affermazione di sé, attraverso il talento, del ragazzino di un piccolo paese sperduto dell’Unione Sovietica. Quelli sono i film americani. Nureyev – The White Crow è la storia di un processo creativo, della nascita di una rivoluzione in seno a un solo uomo. Nella danza, è vero, ma anche nel mondo. Con la sua diserzione Nureyev diede una scossa, un segno tangibile, un atto di coraggio su un palcoscenico che era quello della politica mondiale durante la Guerra Fredda. E non importava quanto già fosse famoso: ha rischiato di morire in ogni momento, poiché con certi poteri non si scherza. Il film è la maturazione di questa consapevolezza, del proprio valore. Un film di formazione, forse, ma molto più probabilmente di maturazione di concetti già esistenti e di una presa di coraggio. Sicuramente un atto d’amore del suo autore verso il personaggio raccontato: Rudolf Nureyev, l’uomo. Il danzatore più bravo del mondo.

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RUDOLF NUREYEV • CON LE ALI AI PIEDI

Rudolf Hametovic Nureyev, indimenticabile ballerino, è il personaggio che ha rivoluzionato il ruolo maschile nella danza. Nato il 17 marzo 1938 su un treno in una regione del lago di Baikal, durante un viaggio che la madre aveva intrapreso per raggiungere il marito a Vladivostock (che si era ivi trasferito per ragioni di lavoro), comincia a prendere lezioni di danza all’età di undici anni da un’anziana insegnante, la signora Udeltsova, che aveva fatto parte nientemeno dei leggendari “Ballets Russes” di Diaghilev (gli stessi che avevano collaborato con personalità artistiche del calibro di Stravinskij, Ravel, Matisse, ecc.).

Nel 1955 entra a far parte della prestigiosa scuola di ballo del Teatro Kirov di Leningrado e tre anni dopo è ammesso in compagnia. Durante una tournée in Europa, come molti artisti suoi compatrioti, chiese asilo politico alla Francia, per sfuggire all’oppressivo regime sovietico, alle sue imposizioni e gerarchie.

Correva l’anno 1961 e nella storia quella è una data che vuol dire solo una cosa, guerra fredda. La contrapposizione, basata sul precario equilibrio nucleare, fra le due superpotenze allora vigenti, l’Unione Sovietica appunto e gli Stati Uniti d’America.
In quel clima già rovente, quando gli anticomunisti non perdono occasione per denunciare le infami condizioni di vita instaurate nel paese del socialismo reale, si scatena un vero caso internazionale. Il suo nome finisce su tutti i giornali, non sempre per i nobili motivi legati alla danza, ma per quelli più terreni della politica e questo lo porta, volente o nolente, ad essere conosciuto da un più vasto pubblico, non necessariamente interessato all’arte e al ballo.

Comincia così la sua carriera in Occidente con la compagnia del Marchese di Cuevas,con il Balletto Reale Danese di Erik Bruhn e poi con il Royal Ballet di Londra dove fra l’altro instaura un celebre sodalizio con Margot Fonteyn, con la quale forma la mitica coppia destinata ad incantare il pubblico di tutti i teatri del mondo.

 

 

Nel corso della sua vita, Nureyev ha interpretato decine di ruoli, sia classici che moderni, sempre con enormi potenzialità tecniche e di immedesimazione. Ciò significa che, al pari dei cantanti lirici che per essere tali a tutti gli effetti non devono limitarsi a saper cantare, il ballerino era anche un grande attore, capace di coinvoleger il pubblico e trascinarlo nel vortice delle storie raccontate in musica dai grandi compositori.

Infine, non bisogna dimenticare che crearono per lui tutti i massimi geni della coreografia, fra i quali vanno annoverati Ashton, Roland Petit, Mac Millian, Bejart e Taylor.

Malato da tempo di Aids, il grande ballerino si è spento presso un ospedale parigino il 6 gennaio 1993.

 

Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare. (R.Nureyev)

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MGF