La settimana dopo il BAFF, dall’11 al 14 aprile e prendendone quasi il testimone, ecco un’altra splendida iniziativa che valorizzerà e riempirà di pubblico le 8 sale della nostra città coinvolte nel nuovissimo progetto, convergendo il tutto in  Piazza S.Giovanni  nella tensiostruttura Spazio Festival.

Qui di seguito i link dei vari articoli che ne parlano approfonditamente:

https://www.varesenews.it/2019/03/busto-citta-del-teatro-festa-riportare-la-cultura-centro/806460/

https://www.malpensa24.it/festa-teatro-busto-arsizio-unoverdose-di-a-ecco-la-che-coinvolgera-tutte-le-sale/

https://www.prealpina.it/pages/busto-arsizio-festa-del-teatro-in-otto-sale-191405.html

http://www.informazioneonline.it/a-busto-va-in-scena-la-prima-festa-del-teatro/

Qui invece il video di TGR55 dell’intervista all’assessore Maffioli:

https://www.rete55.it/notizie/arte/a-busto-debutta-la-festa-del-teatro/

 

Il nostro cinema Fratello Sole parteciperà omaggiando Robert Redford con il suo ultimo film Old Man & the Gun e con lo spettacolo C’era una volta due piedi di Veronica Gonzales.

Ecco il volantino con tutte le manifestazioni in programma.

Buona Festa del Teatro a tutti!

 

GAUGUIN A TAHITI – IL PARADISO PERDUTO

Regia: Claudio Poli – Durata 88′

Arte, Documentario, USA 2019

soggetto di Marco Goldin e Matteo Moneta con la partecipazione straordinaria di Adriano Giannini

Da Tahiti alle Isole Marchesi. È il primo aprile del 1891 quando, a bordo della nave Océanien, Paul Gauguin lascia Marsiglia diretto a Tahiti, in Polinesia. Ha quarantatré anni e quella giornata segna l’inizio di un viaggio che porterà l’artista agli antipodi della civiltà, alla ricerca dell’alba del Tempo e dell’Uomo. Ai Tropici, Gauguin (18481903) resterà quasi senza intervalli fino alla morte: dodici anni di disperata e febbrile ricerca di autenticità, di immersioni sempre più profonde nella natura lussureggiante, di sensazioni, visioni e colori ogni volta più puri e accesi; l’approdo definitivo in un Eden talvolta crudele che farà di lui uno dei pittori più grandi di sempre tra quelli che si ispirarono alle Muse d’Oltremare.

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PAUL GAUGUIN

di Beatrice Fiorello – Dott.ssa Scienze dei Beni Culturali

Paul Gauguin è un artista che ha sempre ambito a sintetizzare e mediare. Per ricorrere questo scopo, si mise contro l’ideologia del proprio tempo, cercando di superare le tradizioni nazionali e la stretta impostazione culturale dell’Europa di fine Ottocento, fuggendo dalla società, prima ideologicamente e poi fisicamente. Partendo dagli ultimi palpiti della corrente Impressionista, a partire dal 1886 ne raccolse gli stimoli a suo dire più interessanti, primo fra tutti lo studio del colore e dei contrasti che si possono derivare accostando tinte apparentemente discordanti tra loro; tuttavia, si distacca dalla mera esperienza visiva, trasformando i colori non più in ragione della luce e della sua incidenza, ma ricercando un simbolismo più puro e profondo. Per questo, fissa e approfondisce l’impressione visiva che era la base delle opere di artisti come Monet, Renoir, Degas e Cézanne, riflettendo su di essa e variandola in base alla trasformazione dell’esperienza sensoriale mediata dal ricordo.

Paesaggio di alberi blu – Paul Gauguin (1892)
Il Cristo Giallo – Paul Gauguin (1889)

In ragione di ciò, i colori assumeranno non più un significato puramente empirico, bensì un significato simbolico, fino a giungere ad attribuire alle cose valori del tutto immaginari (alberi rossi, cavalli blu…) e a trasformare la linea di contorno in arabesco colorato. Le linee di contorno, nette, metalliche e marcate, sono un’altra caratteristica che pervade la poetica artistica di Gauguin: rappresentano infatti un primo tentativo di ricercare valori meno inquinati dal ragionamento logico, tipico delle società europee post-illuministiche, e saranno poi uno dei princìpi tecnici su cui si baserà la corrente dell’Espressionismo. Lui stesso, utilizzando in maniera cosciente linee di contorno così dure, chiama la propria tecnica “cloisonnisme”, alludendo agli smalti e alle vetrate medievali, in cui ogni campo di colore era delimitato da un bordo metallico, appunto detto cloison; crea degli spazi ben definiti per i colori, dunque, il cui senso è dato dall’espansione che ha sulla superficie, dalla forma della zona dipinta, dal rapporto e dal contrasto con le tinte che lo circondano.

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LA FAVORITA

Regia di Yorgos Lanthimos – Grecia, 2018 – 120′
con Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz

All’inizio del XVIII secolo, mentre il Regno Unito è in guerra con la Francia, le cugine Abigail Masham (Emma Stone) e Sarah Churchill (Rachel Weisz) si contendono le attenzioni della Regina Anna (Olivia Colman). Entrambe usano tutti i mezzi a propria disposizione pur di diventare la favorita, innescando un tourbillon di tensioni e inganni.
Yorgos Lanthimos scardina la cultura razionalista del Settecento, mettendo in scena le dinamiche più aberranti e mostruose della vita di corte dell’epoca. Dietro a sontuosi arredi e voluminosi parrucconi, si nasconde un grottesco girotondo al femminile in cui il genere maschile non sembra avere voce in capitolo. Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz danno vita a una vera e propria gara di bravura.

Paolo Castelli

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YORGOS LANTHIMOS RITROVA LA FORMA SMARRITA. CON UN FILM NON TOTALMENTE “SUO” E TRE MAGNIFICHE PROTAGONISTE: OLIVIA COLMAN, RACHEL WEISZ ED EMMA STONE.

Cinematografo.it

Ci voleva l’Inghilterra del XVIII secolo per ritrovare Yorgos Lanthimos. Al terzo tentativo con un film in lingua anglosassone il regista greco fa finalmente centro.[…] Sostenuto da una sceneggiatura al limite della perfezione firmata da Deborah Davis e Tony McNamara, il film – il primo che Lanthimos dirige senza averne firmato lo script – è un irresistibile affresco degli intrighi di corte dal punto di vista tutto femminile. Abituati ad entrare (cinematograficamente) in questi ambienti sempre in punta di piedi, ci ritroviamo invece al cospetto di una sovrana volubile e seminferma per causa della gotta, affettuosa con i suoi 17 coniglietti (tanti quanti i figli nati morti o persi prima del parto) e disperatamente in cerca di affetto.

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GREEN BOOK
Regia di Peter Farrelly – USA, 2018 – 130′
con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini

Tony Villalonga, detto Toni Lip (Viggo Mortensen), è un uomo dai modi rozzi che lavora come buttafuori. Si ritrova però a riprendere il suo vecchio lavoro e a fare da autista a Don Shirley (Mahershala Ali), un pianista afro-americano incredibilmente dotato.
Ambientato nella New York degli anni ’60, ma costruito come un lungo viaggio on the road attraverso le diverse anime dell’America e in particolar modo degli Stati del Sud, notoriamente i più razzisti, Green Book è una contagiosa e irresistibile commedia – una sorta di A spasso con Daisy (1989) al contrario – e nel sodalizio tra i due protagonisti trova un’alchimia preziosa. Il titolo fa riferimento al The Negro Motorist Green Book, itinerario che i neri dovevano seguire negli anni ’60 se volevano viaggiare senza rischiare la pelle.

Vincitore di tre Oscar 2019: Miglior Film – Miglior Attore Non Protagonista a Mahershala Ali – Miglior Sceneggiatura Originale

Paolo Castelli

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GREEN BOOK
Federico Pedroni – Cineforum.it

New York, 1962. Tony Vallelonga è un italoamericano dai modi spicci: lavora in un locale notturno e non disdegna le maniere forti quando deve risolvere qualche grana per il suo capo. Vive dalla nascita nel Bronx e frequenta da vicino, senza immischiarsi troppo, i mafiosi di zona. Quando il night club dove lavora chiude per un periodo, Tony è costretto a cercare lavoro. Ne troverà uno tanto inaspettato quanto ben pagato: fare l’autista per un eccentrico pianista giamaicano, Don Shirley, e accompagnarlo per un tour di concerti nel Sud degli Stati Uniti, ancora funestati dal segregazionismo. Per la prima parte del film la strana coppia si studia, poi impara a conoscersi e a rispettarsi, finendo per riconoscersi e accettarsi nella sua complementare diversità in un crescendo emotivo costruito con mestiere. In Green Book, Peter Farrelly usa un tono lontano dalla comicità demenziale dei suoi grandi successi, ma

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