Regia di Ali Ray.
Docufilm Gran Bretagna, 2023, Durata 90 minuti.
La storia, la sensualità, i materiali abbaglianti e i misteri di uno dei dipinti più suggestivi, conosciuti e riprodotti del mondo.
Uno studio ravvicinato del dipinto ci condurrà tra le strade della straordinaria Vienna di fine secolo, quando un nuovo mondo si scontrava con il vecchio e la modernità vedeva, per la prima volta, la luce. Prodotto da Phil Grabsky con Exhibition on Screen.
KLIMT: IL BALUARDO BOHEMIEN NELLA CASTITA’ VITTORIANA
Gustav Klimt è un artista austriaco forse un po’ difficile da inquadrare, con le sue opere che mescolano così aggressivamente elementi realistici e strane geometrie.
Per contestualizzarlo, pensiamo all’epoca in cui nasce e cresce, come persona e come artista: l’Austria del XIX Secolo è un luogo di contraddizioni, dove il rigore che dall’Inghilterra Vittoriana si espande a tutta l’Europa stenta a reprimere i primi ansiti di quella che sarà la cultura bohémien.
Un puritanesimo diffuso e radicato, a cui Klimt inizialmente aderisce, ma che sfocia inevitabilmente nel risultato immancabile della repressione troppo strenua degli istinti: la ribellione, la perversione, l’erotismo.
Siamo in un’epoca in cui cominciano ad emergere le teorie di Jung e Freud, con le ben note ipotesi riguardanti gli effetti sulla psiche della sfera sessuale: Klimt prende queste teorie, le fa sue.
Non può tuttavia discostarsi, e Freud approverebbe, dalla sua storia personale: figlio di un incastonatore, studia anch’egli la materia e pur dandosi poi all’arte pittorica, qualcosa di questa formazione gli resterà sempre.
Pensiamo ad esempio alla sua opera più celebre, Il Bacio: volti realistici, umani, riconoscibili, travolti da un’innegabile passione… e corpi celati dietro a strane vesti surreali, il cui decoro ricorda molto il mosaico, o appunto un decoro di pietre incastonate.
Sotto questo punto di vista, Klimt è la perfetta, sebbene inusuale, incarnazione del motto rinascimentale: “nani sulle spalle dei giganti”.
In Klimt rivive l’antica passione tardoromanica per il mosaico, per le gemme, per la gioielleria raffinata, e prende un nuovo slancio con la sua spinta, quasi un’esigenza, verso l’erotismo e la sensualità.
Le opere di Klimt sono uno schiaffo alle ondate di puritanesimo che quasi imponevano di non provare alcun tipo di desiderio impuro, spezzano e ricostruiscono la morale fino ad alzarla a uno stato di quasi divinità: impossibile non notare quanto gli sfondi dorati di cui egli faceva spesso uso rimandino alle opere medievali, in cui spesso il paradiso era rappresentato da un costosissimo sfondo oro monocromatico. Manca tuttavia l’ostentazione: in queste ultime opere, la foglia d’oro utilizzata per rappresentare il paradiso non era altro, in fondo, che uno status symbol, dal momento che solo i più ricchi potevano permettersela.
Klimt solleva quindi quella patina di falsità in cui è così facile cadere, riportando il paradiso ad una dimensione accessibile a chiunque; non solo i più ricchi e abbienti, ma anche gli ultimi del mondo possono ora alzare lo sguardo e rimirare la bellezza. Una bellezza terrena, comprensibile, un sensuale corpo di donna e una massa di capelli scompigliati, un bacio inevitabile, un sorriso malizioso. E tutto ciò strizzando l’occhio al pacchiano, alla decorazione di sfondo che quasi prende il sopravvento sull’opera nella sua interezza: un vero e proprio caos bohemién.
Le parole d’ordine che segnano la ribellione al puritanesimo sono quattro: libertà, bellezza, verità e amore. E Klimt le incarna tutte nelle sue opere.
Le donne da lui dipinte sono libere, belle, reali e innamorate. Klimt viene spesso accusato di misoginia e oggettivizzazione della donna, ma guardando bene si può capire che in realtà fa l’esatto contrario: prende la femminilità e la libera dalle convenzioni, dalle catene dei limiti sociali da non oltrepassare, rappresenta donne che sono donne in quanto tali, creature che non sono legate ad un ruolo di semi schiavitù, sempre un po’ in disparte, sempre beneducate e sorridenti, donne che abitano il mondo perché questo è ciò che vogliono fare, quasi fossero spiriti silvani che illuminano di fuochi fatui le foreste buie.
Basta con la concezione della donna solo e soltanto nel suo ruolo di madre e costola dell’uomo, basta con l’idea che le donne siano creature angeliche e caste, prive di qualsivoglia pulsione sessuale o violenta, basta con le donne intimamente schiave del proprio fato; ed è questa una concezione aliena al puritanesimo dilagante, allora come ora.
E forse, proprio per questo motivo, questa stessa idea è sempre più importante: la felicità vera non è attenersi a una serie di regole imposte, ma essere liberi da restrizioni troppo limitanti, vivi e pulsanti nella propria unicità, innamorati della vita e dell’arte, non costretti da sterili convenzioni sociali.
Beatrice Fiorello
Dott.ssa in Scienze dei Beni Culturali
MGF