Regia di Jonathan Nossiter
USA, 2020 – 126′
con Nick Nolte, Charlotte Rampling, Alba Rohrwacher
Drammatico
LAST WORDS È UNA FAVOLA POST APOCALITTICA MA ANCHE UN’ODE AL POTERE DEL CINEMA DI RENDERCI IMMORTALI.
Che film strano, Last Words. A tratti risulta addirittura indecifrabile, nella sua disarmante purezza d’intenti. Intenti che si sovrappongono, che si sostituiscono, che si affiancano. Al centro, un’idea ben precisa. L’arte. L’arte come salvezza, come obiettivo, come speranza. E, soprattutto, l’arte cinematografica come profonda testimonianza, in quanto “se vieni filmato, esisterai per sempre”.
Per questo, Last Words, diretto da Jonathan Nossiter, è da intendere come una sorta di lascito, affidando al cinema stesso i frammenti di una memoria interrotta. Una memoria spezzata che il regista – come può e come crede – prova a ricostruire per mezzo dello stesso cinema, a cui dedica quello che potrebbe essere definito un post-apocalittico umano, lontano dalla realtà fantascientifica ma vicinissimo alla realtà di un futuro non così lontano.
Jonathan Nossiter, il cui film sarebbe dovuto essere presente all’edizione di Cannes 2020, mozzata dal Covid, attraverso la sua – a tratti – bizzarra opera dichiara profondo amore verso la terra (tant’è che ora fa l’agricoltore) e verso la Settima Arte, elevandola quasi ad atto salvifico, a gesto miracoloso. Ma una salvezza – e quindi un miracolo – può essere possibile solo se prima c’è l’abisso più profondo. E oggi, secondo la sceneggiatura di Nossiter, firmata insieme a Santiago Amigorena (autore del libro da cui è tratto il film), l’abisso più pericoloso è anticipato dall’attuale e tutt’ora sottovalutata crisi climatica. Un mostro che incombe, inesorabile e gigantesco. È lì, sullo sfondo, un brusio fastidioso, una pioggia più intensa, un grado in più sotto il sole. Eppure, il cambiamento drammatico è in atto.
Non c’è più tempo.
Siamo nel 2086, l’anno che potrebbe segnare definitivamente la fine dell’umanità. Siccità e grandi alluvioni hanno resto la Terra un posto inospitale. Kal, interpretato dal non-attore Kalipha Touray (rifugiato gambiano, che ha “già vissuto la fine del mondo”, secondo il regista), sta vivendo “l’orrore di essere l’ultimo uomo rimasto“. Intorno a lui non c’è più nulla, né cultura, né bellezza, né natura. Tuttavia, dopo un lungo cammino, si ritrova in quella che una volta era Bologna. Nello specifico, nel luogo che una volta era la Cineteca di Bologna (intravediamo un cartello…). Qui, incontra un vecchio regista che si fa chiamare Shakespeare (si vola basso…), con il volto stropicciato di Nick Nolte. L’uomo spiega al ragazzo che l’unica strada che porta alla salvezza è quella che spinge a credere in qualcosa. Quel qualcosa è il cinema stesso.
Sarà proprio l’immaginazione, sotto forma di cinema, a salvare l’uomo, e in un certo qual modo, a salvare lo stesso film di Nossiter. Profondamente legato all’Italia, il regista statunitense sceglie numerose clip di film italiani (c’è pure Totò!) per delineare il suo concetto salvifico, facendo sì che il cinema, mezzo d’altri tempi, diventi l’innovazione in un mondo che ha perso la sua anima. Perdere e ritrovare, uno spunto notevole, dal forte carattere narrativo.
Non c’è dubbio che Last Words, per Nossiter, sia stato un film dal forte valore personale: una causa sposata in pieno, la sua carezza verso la cinematografia, un atto di speranza che possa allontanare la parola fine.
Come? Mantenendo viva la memoria, e quindi proiettandola su un telo bianco, in cui le emozioni tornano a splendere.
Damiano Panattoni – Movieplayer
APOCALITTICO O POSTAPOCALITTICO?
La fantascienza apocalittica e la fantascienza postapocalittica sono due sottogeneri della fantascienza aventi in comune il tema dell’apocalisse intesa come evento distruttivo e catastrofico su scala planetaria.
Si differenziano tra loro perché la fantascienza apocalittica è incentrata sull’imminenza del verificarsi di un evento apocalittico, mentre la fantascienza postapocalittica è incentrata su un mondo devastato da un evento apocalittico già verificatosi, nella sua successiva immediatezza o molto tempo dopo dall’essere avvenuto
L’ambientazione temporale del postapocalittico può essere immediatamente successiva alla catastrofe, focalizzandosi sui viaggi o sulla psicologia dei sopravvissuti, o considerevolmente posteriore, comprendendo spesso il tema della perdita della memoria storica, per cui ci si è dimenticati dell’esistenza di una civiltà precatastrofe o la sua storia è divenuta leggenda o mito. La civiltà perduta possedeva in genere un elevato sviluppo scientifico-tecnologico e poteva anche essere una civiltà basata sullo spazio.
L’uso di un contesto postapocalittico nei film e l’immaginario tipico che vi si riferisce, come i deserti sconfinati o le vedute aeree di città demolite, i vestiti fatti di cuoio e di pelli di animali, le bande di razziatori, è ormai comune.
Non sono pochi i film ambientati dopo un’apocalisse, tutt’altro.
Il cinema post-apocalittico, rispetto al cinema dell’Apocalisse, ha la fortuna di costare molto di meno, come ha dimostrato George A. Romero con la sua tetralogia degli zombie iniziata nel 1968 con La notte dei morti viventi.
Non c’è bisogno di mostrare grandi esplosioni, palazzi che crollano, alieni che invadono le strade. Il cinema post- apocalittico generalmente è piuttosto minimalista, e trova nella famiglia il suo fulcro drammatico. Basta una catastrofe qualsiasi, e un gruppo di sopravvissuti che si fa strada fra le macerie del vecchio mondo.
Alcuni racconti apocalittici e/o postapocalittici sono stati criticati perché ritenuti non verosimili o forieri di propaganda allarmista. Le opere sul tema – assieme alla saggistica – hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo del movimento moderno del survivalismo.
Tra i migliori film postapocalittici del ventunesimo secolo ricordiamo:
THE DAY AFTER TOMORROW – L’ALBA DEL GIORNO DOPO (Ronald Emmerich – 2004)
LA GUERRA DEI MONDI (Steven Spielberg – 2005)
I FIGLI DEGLI UOMINI (Alfonso Cuaron – 2006)
IO SONO LEGGENDA ( Francis Lawrence – 2007)
THE ROAD (John Hillcoat – 2009)
SNOWPIERCER (Bong Joon-ho – 2013)
OBLIVION (Joseph Kosinski – 2013)
EXTINCTION – SOPRAVVISSUTI (Miguel Ángel Vivas – 2015)
A QUIET PLACE-UN POSTO TRANQUILLO (John Krasinski – 2018)
Una bella carrellata di film che, se siete appassionati, non potrete mai dimenticare!
MGF