LE BUONE STELLE – Broker
Drammatico
Regia di Kore’eda Hirokazu –
Corea del sud, 2022 – 129′
con Song Kang-ho, Gang DongWon, Doona Bae

 

 

 

 

 

LA TRAMA

Una storia incentrata sulle baby boxes, scatole usate per abbandonare in maniera anonima neonati i cui genitori non sono in grado di provvedere ai propri bambini.

La storia prende il via con un bambino abbandonato in una “baby box” in una Chiesa in Giappone. Le baby box sono dei luoghi, protetti, dove genitori disperati che non sanno come occuparsi dei loro figli, possono abbandonarli anonimamente. Sang-hyeon è il proprietario di una lavanderia a mano e fa il volontario nella chiesa dove lavora il suo amico Dong-soo. I due hanno un traffico illecito di neonati: rubano i pargoli dalla baby box e li vendono al mercato nero delle adozioni.

Quello che può sembrare un losco traffico è in realtà qualcosa di più perché i due amici non si accontentano di vendere il bambino al miglior offerente, bensì intervistano i potenziali candidati per assicurarsi che i bambini abbiano una vita felice. La giovane madre So-young torna sui suoi passi dopo aver abbandonato suo figlio e li sorprende sul fatto. Decide di partire insieme a loro in un lungo viaggio in pulmino insieme al resto della loro stramba famiglia per intervistare i potenziali futuri genitori di suoi figlio. Nel frattempo però, il gruppo non ha idea che un paio di detective sono sulle loro tracce…

 

LA RECENSIONE

UN INNO ALLA VITA GENTILE, UN PO’ INGENUO MA IN DEFINITIVA PIACEVOLE GRAZIE AL SUO VARIEGATO E CONVINCENTE CAST.

A Busan, la giovane madre in difficoltà So-young decide di lasciare il figlio appena nato nella “baby box” di un ospedale. A intercettare il pargolo sono però Sang-hyun e Dongsoo, che gestiscono un’attività clandestina di contrabbando di bambini per i quali cercano i genitori giusti, nonché i migliori offerenti, in tutto il paese. Dopo aver convinto la madre che sia la scelta migliore per il futuro del piccolo Woo-sung, il gruppetto inizia il viaggio ignaro che sulle loro tracce ci siano la poliziotta Su-jin e la giovane collega Lee, determinate ad arrestare i criminali dopo averli colti sul fatto.
Un affare di famiglia ha cambiato molte cose nella carriera di Kore’eda, che dopo il grande successo internazionale e la Palma d’oro a Cannes nel 2018 ha allargato i suoi orizzonti dal nativo Giappone con la tappa in Francia per Le verità.
Con Broker racconta invece una storia coreana (che lo vede lavorare con star locali come il Song Kang-ho di Parasite) che inizia a Busan e diventa poi un road movie itinerante, pur rimanendo molto vicina ai temi tradizionali del suo cinema.
Innanzitutto la famiglia, organismo primario che va oltre anche i legami di sangue. Per il regista nipponico famiglia vuol dire pathos, impegno e responsabilità: è un modo di resistere al sistema e alle sue storture sociali, questa volta con particolare enfasi sulle leggi per l’adozione e sulle politiche di welfare infantile. Broker si chiede e fa chiedere ai suoi personaggi cosa sia più giusto, esaminando un caleidoscopio di casi da diverse prospettive durante il viaggio sgangherato di questa famiglia improvvisata.
Ci sono madri bisognose, coppie che hanno provato di tutto, ospedali che si prendono cura dei neonati abbandonati, gestori di orfanotrofi, e la polizia che deve applicare leggi a volte troppo severe. L’immagine della “baby box”, un buco nel muro illuminato e con ninna nanna incorporata dove poter lasciare alle cure dello stato un bambino a cui non si può dare un futuro, è quella che apre il film e rimane sempre centrale nel suo sviluppo. Ma è davvero un aiuto oppure incentiva le giovani madri all’abbandono?
Dilemmi sui quali Kore’eda si schiera sempre dalla parte dell’empatia e dei buoni sentimenti, in quello che è un inno alla vita gentile e perfino un po’ ingenuo. Qualunque gruppo di persone può imparare a diventare famiglia nell’universo del regista, che però è diverso dal mondo reale. Il sentimentalismo che lo ha spesso aiutato a illuminare con dignità il genere del dramma sociale stavolta lo fa apparire poco incisivo, benché il film si mantenga piacevole grazie a un variegato cast di personaggi decisi a fare – più o meno – sempre la cosa giusta.

Tommaso Tocci – Giornalista, e critico cinematografico

 

IL REGISTA

KORE’EDA HIROKAZU
Tokio
6 giugno 1962

 

 

 

 

E’ un regista, sceneggiatore e montatore giapponese.
È centrale nel suo cinema il tema dei legami personali e di quelli familiari in particolare. Nei suoi film ha affrontato anche i temi della memoria e dell’elaborazione del lutto. Dopo essersi laureato nel 1987 all’Università di Waseda, lavora come documentarista televisivo per la TV Man Union.
Il suo esordio nel lungometraggio cinematografico, Maborosi (1995), tratto da una novella di Teru Miyamoto, è presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, dove vince l’Osella d’oro per la miglior regia. Ma è il film successivo, Wonderful Life (conosciuto con il titolo internazionale After Life), vincitore di svariati premi in festival in tutto il mondo fra cui il premio Holden per la migliore sceneggiatura al Torino Film Festival, il premio FIPRESCI al Festival di San Sebastian, e la Mongolfiera d’oro al Festival des 3 Continents di Nantes, a fargli raggiungere la notorietà internazionale.

Distance, presentato in concorso al Festival di Cannes 2001, è incentrato sulle conseguenze del suicidio di massa degli adepti di un culto religioso ispirato a quello di Aum Shinrikyō. Il successivo Nessuno lo sa (Daremo shiranai), presentato in concorso all’edizione 2004 del festival francese, è basato su un tragico fatto di cronaca.
Con Hana yori mo naho (2006) Kore’eda si cimenta per la prima volta con il film in costume e il genere per eccellenza del cinema giapponese, il jidai-geki, pur senza rinunciare al proprio caratteristico stile intimista. Dopo il dramma familiare Aruitemo aruitemo (2008), affronta un’altra sorta di “passaggio obbligato” per un cineasta nipponico, la trasposizione cinematografica di un manga, con Kūki ningyō, presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2009. Nel 2018 con la regia di Un affare di famiglia conquista la Palma d’oro al Festival di Cannes.

MGF