IL CASO MORTARA: LA VERA STORIA DIETRO IL FILM “RAPITO”
EDGARDO MORTARA – LA STORIA
Edgardo Mortara era un bambino ebreo, nato a Bologna il 27 agosto 1851 da Salomone (Momolo) Mortara e Marianna Padovani. La sera del 23 giugno 1858 la polizia dello Stato pontificio si presentò presso l’abitazione in Via delle Lame dove viveva con i genitori e i fratelli per prelevarlo, su ordine dell’inquisitore di Bologna, affermando che Edgardo era stato battezzato all’insaputa dei genitori.
L’inquisitore di Bologna, il domenicano Pier Gaetano Feletti (1797-1881), era venuto a conoscenza che alcuni anni prima Anna (Nina) Morisi, la giovane domestica cattolica dei Mortara, vedendo il piccolo Edgardo ammalato e credendolo in fin di vita, lo avrebbe battezzato. La ragazza aveva agito di sua completa iniziativa e, dopo la guarigione di Edgardo, che allora aveva un anno, non raccontò a nessuno il fatto. La vicenda rimase quindi senza conseguenze fino a quando, nel 1858, non riemerse fortuitamente arrivando alle orecchie dello zelante inquisitore di Bologna che decise di andare a fondo alla questione.
Secondo le leggi ecclesiastiche, che nello Stato pontificio erano anche alla base della società civile, il bambino in virtù di quel battesimo, per quanto anomalo, era da considerarsi ormai cristiano e, in quanto tale, avrebbe dovuto ricevere un’educazione cattolica. Ma questa sarebbe stata possibile solo sottraendolo alla sua famiglia d’origine per scongiurare il rischio dell’apostasia. E di questo si sarebbe occupata la Santa Inquisizione, ancora attiva nello Stato pontificio.
Colta alla sprovvista dall’irruzione dei gendarmi pontifici la famiglia cercò di opporsi, ma l’ingranaggio del diritto canonico era stato avviato e non si sarebbe fermato. Il 24 giugno 1858 Edgardo Mortara fu fatto salire su una carrozza che partì immediatamente alla volta di Roma. Abbiamo due versioni del viaggio di Edgardo, del tutto contrastanti: la versione della famiglia ci descrive un bambino smarrito, che piange domandando di essere ricondotto dai genitori, e chiedendo che gli venisse restituita la mezuzah, un oggetto rituale ebraico da cui normalmente non si separava. La versione cattolica ci racconta di un bambino tranquillo che manifesta fin da subito interesse per la religione cristiana, chiede di entrare nelle chiese incontrate durante il percorso e che legge con piacere La Filotetea di San Francesco di Sales, donatogli da due pie donne incontrate durante il viaggio.
A Roma fu collocato presso la Casa dei catecumeni, l’istituzione concepita per ospitare ed educare coloro che, forzatamente o per scelta, si convertivano al cristianesimo.
La famiglia si attivò immediatamente, con il sostegno della comunità ebraica bolognese e romana, per riavere indietro Edgardo. I genitori si recarono ripetutamente a Roma riuscendo solo a fargli brevi visite sempre sotto la supervisione degli ecclesiastici che avevano assunto con molto zelo il compito di educare il piccolo Edgardo ai principi del cristianesimo. A Roma Edgardo godette di una particolare attenzione da parte di Pio IX che ne fece il suo “figlio adottivo”.
A trattare per la Chiesa fu il discusso ministro di Pio IX, il cardinale Giacomo Antonelli (1806-1876).
La famiglia Mortara non lasciò nulla di intentato per riavere il bambino: inviò al Papa suppliche, petizioni e soprattutto cercò di affrontare la questione sul terreno del diritto canonico impegnandosi per dimostrare che il battesimo non era mai avvenuto o, in ogni caso, non aveva i requisiti per essere valido. Per dimostrarlo si puntò sia sull’indegnità morale di Anna Morisi sia sulla sua estrema ignoranza, condizioni che non le avrebbero permesso di comprendere la portata del suo gesto e di compierlo in maniera corretta. Attraverso la testimonianza del medico, contestarono che Edgardo fosse in pericolo di vita, condizione necessaria per ammettere il battesimo di emergenza, in articulo mortis. La Chiesa, e Pio IX in particolare, fu irremovibile nell’affermare la correttezza dell’avvenuto battesimo e le necessarie conseguenze.
Il rapimento di Edgardo fu uno degli ultimi atti del governo pontificio a Bologna dove crollò meno di un anno dopo, il 12 giugno 1859. Fra i primi atti del nuovo regime vi fu l’abolizione dell’Inquisizione e l’arresto, all’inizio del 1860, dell’inquisitore. Padre Pier Gaetano Feletti venne processato e assolto poiché il suo operato venne riconosciuto conforme alle leggi in vigore e alle istruzioni dei suoi superiori, tuttavia il suo processo fu una palese rappresentazione dell’avvenuto cambio di regime.
Il Regno di Sardegna che aveva da tempo emancipato gli ebrei ed era uno degli stati italiani più avanzati in materia seppe sfruttare abilmente il caso a fini politici dimostrando l’anacronismo del potere temporale del papa.
La vicenda assunse ben presto un rilievo internazionale coinvolgendo eminenti personalità della politica e della cultura internazionali, le opinioni pubbliche di vari paesi si mobilitarono e per le comunità ebraiche internazionali fu l’occasione di organizzarsi: in questo clima nacque l’Alliance israélite universelle, che divenne una delle più importanti organizzazioni per la difesa dei diritti degli ebrei. L’Alliance è ancora attiva, con sede a Parigi.
Mentre Bologna cambiava di regime e le opinioni pubbliche liberali di mezzo mondo protestavano per il “caso Mortara”, l’educazione cattolica di Edgardo continuava indisturbata a Roma ancora sottoposta al dominio pontificio.
Nel 1870 la presa di Roma sembrò rimuovere anche questo ultimo ostacolo, ma Edgardo non volle ricongiungersi alla sua famiglia.
A sollecitarne il ritorno dai genitori si era presentato il fratello Riccardo che aveva partecipato alla presa di Porta Pia, ma Edgardo, che nel 1867 era entrato come novizio nei Canonici Regolari Lateranensi, rifiutò categoricamente di ricongiungersi alla famiglia. Non solo, per evitare ogni ulteriore pressione abbandonò segretamente Roma per trasferirsi in Tirolo, in territorio austriaco, e successivamente in Francia dove venne ordinato sacerdote adottando il nome di Pio in onore del papa che considerava suo “padre adottivo”.
Per il resto della sua lunga vita Edgardo si dedicò alla predicazione cercando in particolare, con ben poco successo, di convertire gli ebrei. Si schierò sempre in difesa dell’operato della Chiesa nei suoi confronti e di Pio IX in particolare, verso il quale mostrò sempre una totale devozione.
Nel 1907 Edgardo tornò sul tema del suo “rapimento” scrivendo alcuni articoli sui giornali in risposta a Raffaele De Cesare (1845-1928), che aveva dedicato un capitolo al “caso Mortara” in un suo libro: ne scaturì una polemica che riaccese i riflettori sul “caso Mortara”.
Ebbe con la famiglia d’origine contatti abbastanza sporadici e morì a Liegi nel 1940 poco prima dell’invasione nazista.
Se il “caso Mortara” aveva avuto pesanti ripercussioni politiche e soprattutto aveva recato un danno immenso all’immagine della Chiesa cattolica nell’opinione pubblica internazionale, dal punto di vista dell’obiettivo dichiarato, l’educazione cristiana di Edgardo, il successo di Pio IX fu completo. Oggetto di molte cure e attenzioni da parte dello stesso papa, Edgardo adottò nella sua vicenda la visione di chi lo aveva allevato e, pagando forse anche un elevato prezzo di sofferenza psicologica, giustificò sempre con il raggiungimento del suo superiore bene le azioni di coloro che lo avevano sottratto alla famiglia.
Fonte (e per saperne di più):
http://bimu.comune.bologna.it/biblioweb/mostra-caso-mortara/
MGF