THE HAPPY PRINCE – APPROFONDIMENTI
Regia di Rupert Everett
con Rupert Everett, Colin Firth, Emily Watson
Italia, Belgio, Germania, Gran Bretagna, 2018 – durata 105 minuti.
Sul finire del diciannovesimo secolo, il famoso scrittore Oscar Wilde (Rupert Everett) viene arrestato dalle forze dell’ordine inglesi per via della sua dichiarata omosessualità. Una volta uscito di prigione, inizierà una serie di viaggi che lo condurranno a Parigi e a Napoli. Scritto, diretto e interpretato da Rupert Everett, alla sua prima prova da regista, The Happy Prince è un biopic coraggioso, pensato non tanto per raccontare la vita di Oscar Wilde, quanto piuttosto gli aspetti più cupi e grotteschi della sua personalità. Concentrandosi sulle ultime tappe del percorso esistenziale dell’autore, Everett si avvale di una regia tutta mirata a restituire l’angoscia, interiore e materiale, e a tratti claustrofobica e asfissiante, provata dal personaggio.
Paolo Castelli
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RUPERT EVERETT TRASPONE GLI ULTIMI GIORNI DI OSCAR WILDE IN UN FILM CHE NON FA SCONTI A NESSUNO, WILDE COMPRESO.
Recensione di Giancarlo Zappoli – Mymovies
Dopo il periodo di successi letterari e teatrali Oscar Wilde è caduto in disgrazia. Processato per la sua esplicita omosessualità e condannato a due anni di lavori forzati è uscito dal carcere minato nella salute e nell’animo.
Esiliatosi a Parigi, dopo un tentativo di ricostruire il rapporto con la moglie, torna ad unirsi al giovane Lord Douglas e precipita sempre più nel disastro totale. Gli restano solo le sue fiabe con le quali si conquista l’affetto di due ragazzi di strada. Rupert Everett accarezzava da tempo il progetto di portare sullo schermo gli ultimi giorni di vita del suo autore preferito, Oscar Wilde. Ci è finalmente riuscito grazie a una coproduzione internazionale che ha visto in gioco numerosi soggetti che gli hanno consentito di dirigere e interpretare nel ruolo del protagonista il film. Si sente in ogni inquadratura l’amore che Everett prova per questo grande autore colto ed accompagnato sulla strada dell’autodissoluzione costruita bicchiere su bicchiere di assenzio nella ricerca di un piacere che, di giorno in giorno, perde qualsiasi valenza estetica per tradursi in un disperato tentativo di confrontarsi con la morte in arrivo. Quella morte che aveva descritto magistralmente sotto aspetti diversi, da “Salomè” a “Il gigante egoista” e il cui arrivo ora centellina raccontando a due ragazzi di strada la fiaba della statua del principe felice che progressivamente si spoglia di ciò che ha e che viene abbattuta assieme alla morte della rondine che ha portato l’oro e le pietre preziose che lo rivestivano a chi ne aveva bisogno. Dio però chiede ad un angelo di portargli le due cose più preziose della città: il cuore di piombo del principe e la rondine stessa.
Sul finire del diciannovesimo secolo, il famoso scrittore Oscar Wilde (Rupert Everett) viene arrestato dalle forze dell’ordine inglesi per via della sua dichiarata omosessualità. Una volta uscito di prigione, inizierà una serie di viaggi che lo condurranno a Parigi e a Napoli. Scritto, diretto e interpretato da Rupert Everett, alla sua prima prova da regista, The Happy Prince è un biopic coraggioso, pensato non tanto per raccontare la vita di Oscar Wilde, quanto piuttosto gli aspetti più cupi e grotteschi della sua personalità. Concentrandosi sulle ultime tappe del percorso esistenziale dell’autore, Everett si avvale di una regia tutta mirata a restituire l’angoscia, interiore e materiale, e a tratti claustrofobica e asfissiante, provata dal personaggio.
Everett utilizza la metafora per mettere in scena il suo Wilde. Un uomo ormai fiaccato nel corpo così come la statua del principe diviene priva di ornamenti. Oscar ha ormai perduto il suo appeal, quello che riempiva i teatri e faceva inneggiare all’autore. Ora canta, se richiesto, in locali di pessimo ordine e le sue tasche sono perennemente vuote. La malattia che lo porterà alla fine progredisce di giorno in giorno mentre passa dalla Francia all’Italia per poi fare ritorno in terra francese dove verrà sepolto con una scritta sulla lapide tratta dal libero di Giobbe: “Nulla osavano aggiungere alle mie parole, e su di loro stillava goccia a goccia il mio discorso”. Solo di recente la Gran Bretagna ha fatto ammenda per la condanna inflitta allo scrittore. Questo film, senza fare sconti a nessuno (Wilde compreso) ci spinge a riflettere.
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Il “DE PROFUNDIS”
Siete sicuri di sapere davvero chi fosse Oscar Wilde? Se davvero la vita di Wilde fu un’opera d’arte, frase che stregò D’Annunzio, allora questa storia va raccontata fino alla fine, fino all’ultima riga dell’ultimo capitolo. Una delle opere più toccanti e straordinarie di Oscar Wilde è il “De Profundis”, una sorta di lettera epistolare che il poeta dedica al suo amato compagno Alfred Douglas “Bosie”, mentre si trovava in carcere nella prigione di Reading, dopo essere stato processato per il reato di omosessualità. Nella prima parte della lettera sono messe in evidenza le differenze caratteriali e comportamentali di Wilde e “Bosie”:da una parte la natura gentile e sensibile, l’innata cultura e la tendenza all’arte di Oscar Wilde e, dall’altra, la natura violenta, a tratti volgare, di Lord Douglas che tanto influì sulla sua produzione artistica e dilaniò la sua vocazione all’arte. Lo scrittore si rimprovera di aver ceduto alle sue debolezze e di essere stato permissivo in ogni occasione nei riguardi di Alfred, che non fu solo la causa della sua incarcerazione, ma anche della sua bancarotta. Nonostante ciò, quando Wilde parla di lui non mostra né rancore né acrimonia, ma solo una delusione amara e sconfortante Il De Profundis di Wilde è importante perché in quest’opera lo scrittore irlandese fa i conti con se stesso, con la sua vita, con la sua attività di letterato e di provocatore prima di entrare in carcere, rivendicando i propri meriti ma anche riconoscendo i propri sbagli. Wilde rivendica l’attività di letterato, il culto dell’estetismo, l’amore per il bello e per le arti; ma allo stesso tempo abiura le sue eccessive concessioni ad una concezione tutta edonista della vita, ad una sprezzante ironia nei confronti del popolo e delle persone semplici, ad una visione del mondo disincantata e cinica. La vera scoperta che Wilde fa in prigione è il carattere necessario e fecondo che nella vita di ciascuno hanno il dolore, la privazione, la sofferenza. Questa è una verità che ciascuno ha avvertito profondamente dentro di sé almeno una volta: quando proviamo una sofferenza, pur piccola che sia, una volta che l’abbiamo superata il mondo ci sembra più leggero, le nostre priorità sono riordinate, i nostri rapporti col prossimo diventano più sinceri e profondi. Qui Wilde tocca un tema che scandagliò con singolare profondità Nietzsche in “Al di là del Bene e del Male”, ovvero la necessità per ciascuno di portare la propria croce, di passare dalla sofferenza per arrivare ad una forma di amore più vero, che non si arresti alla superficie, alle apparenze, alle tendenze. Wilde, con una franchezza ed onestà morale che ce lo fa sentire vicino, ammette anche che, durante la sua vita prima dell’arrivo in carcere, aveva vissuto infantilmente come se il dolore e la sofferenza non esistessero, aveva voluto provare ad abolire la croce dalla sua vita, vivendo una vita in cui ci fosse solo il piacere. In tutto questo, è quasi naturale che Wilde additi Gesù come modello non solo per ogni vita ma anche per ogni arte. “Riconosco una più intima ed immediata connessione tra la vera vita di Cristo e la vera vita dell’artista […]. Wilde arriva anche a formulare una sua personale teodicea: egli dice che Dio, pur essendo buono, permette il dolore perché è solo mediante il dolore che si può pervenire all’amore; è un messaggio difficile da ricevere oggi… Ma cercare di mostrarsi anche con le proprie fragilità e le proprie ferite è forse l’unico modo di vivere davvero. È questa anche l’esortazione suprema e finale che fa Wilde a Lord Douglas: di non eludere né scansare le preoccupazioni e le difficoltà, ma affrontarle, attraversare “la polvere”, per conoscere finalmente se stessi: “Venisti da me per conoscere i piaceri della vita e i piaceri dell’arte. Forse io sono destinato a insegnarti una cosa assai più splendida: il significato del dolore, la sua bellezza.”
Lo scopo dell’amore è l’amore: nulla di più, nulla di meno
Oscar Wilde
MGF