Regia di David Bickerstaff.
Un film con Robert Lindsay. Genere Arte

Gran Bretagna, 2023, durata 90 minuti.

 

 

 

 

 

 

JAN VERMEER: PRESTO E BENE, UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI

Johannes van der Meer, conosciuto come Jan Vermeer, è uno degli artisti più rinomati del secolo d’oro olandese.
Eppure, non vi sono che trentaquattro opere attribuite universalmente alla sua mano; alcuni studiosi si spinsero ad attribuirgliene sessantasei in totale, cifra che comunque non si avvicina neanche all’opera completa di altri artisti anche meno famosi.
E dunque, perché questa fama universale? Come ha fatto questo artista a diventare celebre in tutto il mondo, pur avendo dipinto meno di quaranta opere, per di più nemmeno enormi ed epiche?

Diana e le Ninfe - 1654         

Vermeer dipinse quasi esclusivamente piccole scenette di genere, con qualche raro e primitivo excursus biblico o mitologico.
Eppure, i suoi personaggi, gente comune che all’epoca si poteva incontrare per la strada senza doversi prendere la briga di andare in un museo, sono diventati celebri in tutto il mondo; pur senza ricordare il nome dell’artista, tutti noi abbiamo in mente almeno qualcuna delle sue opere, anche tralasciando l’ormai celeberrima Ragazza con l’Orecchino di Perla.

 

È come se i suoi personaggi, resi immortali dai pregiati colori a olio e dalle fini pennellate della sua mano, fossero entrati nella mente comune, incidendosi a vivo fuoco nella memoria collettiva.
Il motivo, a mio parere, è la sua estrema precisione, l’uso sapiente del colore e lo studio della luce, motivi questi che lo costrinsero a dipingere così poche opere nel corso della vita: Vermeer era un artista lento e metodico, che preferiva di gran lunga la qualità alla quantità.
Le sue opere hanno una chiara discendenza dalla pittura fiamminga, di cui ricordo i maggiori esponenti: Jan Van Eyck, Pieter Bruegel, Anthony Van Dyck, Rogier van der Weiden. I fiamminghi ispirarono una moltitudine di artisti in tutta Europa, dai Veneti come ad esempio Giorgione fino a Albrecht Dürer e Hans Holbein, e una delle più attente rielaborazioni dei principi pittorici della corrente fiamminga si ritrova forse proprio in Vermeer, che ha fatto sue molte delle tecniche pittoriche utilizzate.

 

 

                 

La principale tecnica è la sovrapposizione di velature lievi di colore: questo permette a Vermeer di creare quelle magnifiche sfumature di luce ed ombra; sembra quasi che sia il materiale a forgiare la luce, e non viceversa: è la luce a prendere vita al contatto con la pelle, la stoffa, il legno, e non viceversa, in un’esaltazione della quotidianità che porta semplici personaggi ad innalzarsi nell’olimpo del mistico, quasi del divino. Una visione quasi religiosa, che ricorda Gesù quando disse: “Quando farete una di queste cose al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatta a me”, e che esalta la banalità della routine quotidiana, trasformando ogni gesto in un rituale di importanza mistica, spingendoci a chiederci se anche ogni nostra piccola azione potrebbe essere in realtà pregna di un significato che noi, dalla nostra visione soggettiva, non siamo in grado di cogliere.

 

Un’altra importante lezione che potremmo cogliere dall’arte di Vermeer, nella nostra epoca dove tutto è disponibile subito allo schioccare delle nostre dita, è la pazienza: “presto” non significa necessariamente “bene”. In un mondo che va avanti in una corsa precipitosa, l’arte di Vermeer, i suoi trentaquattro dipinti lungo l’arco della sua intera vita, ci ricorda che per fare qualcosa di veramente bello è necessario fermarsi, rallentare, prendere nota di ciò che ci circonda e meditarci, ricercare una perfezione che forse non è di questo mondo, ma che è sempre una caratteristica del divino di cui siamo umana espressione.
Non possiamo arrogarci la pretesa di essere perfetti ogni minuto della nostra vita, ma possiamo invece rivendicare il diritto di fare le cose che amiamo con calma e metodo, senza premura, applicando un leggero strato di pittura in un piccolo punto della nostra esistenza, senza fossilizzarci sulla routine quotidiana sempre più frenetica ma ricavandoci giorno per giorno dei piccoli spazi tutti per noi in cui possiamo essere liberi di abbandonarci alla piacevolezza di ricercare un piccolo particolare, qualcosa che avremmo mancato di vedere, precludendoci la gioia di ritrovare un breve istante di perfetta letizia che ha il potenziale di illuminare l’intera giornata.

Possiamo opporci alla corrente che ci spinge a volere tutto pronto senza che noi alziamo un dito, possiamo creare noi stessi qualcosa di bello, distaccandoci dalla freddezza consumistica che ricorda così tanto il peccato di gola per permetterci di prendere in mano anche solo un piccolo dettaglio della nostra vita, di ritoccarlo ancora e ancora fin quando non sarà così bello da forgiare la luce che lo sfiora, elevandone la bellezza e mostrando al mondo che la cura e l’amore rendono ogni cosa più bella, più calda, più luminosa.

Beatrice Fiorello
Dott.ssa in Scienze dei Beni Culturali

 

 

“Vermeer non sarà più lo stesso (…). Questa è più di una mostra. È un miracolo”
⭐⭐⭐⭐⭐ – The Guardian

“Un’esperienza unica nella vita (…). Mozzafiato”
⭐⭐⭐⭐⭐ – The Times

MGF