Commedia, Sentimentale
Regia di Wes Anderson – USA, 2021
con Benicio Del Toro, Adrien Brody, Tilda Swinton
Durata 108
LA TRAMA
In occasione della morte del suo amato direttore Arthur Howitzer, Jr., nato in Kansas, la redazione del French Dispatch, una rivista americana a larga diffusione che ha sede nella città francese di Ennui-sur-Blasé, si riunisce per scrivere il suo necrologio.
I ricordi legati a Howitzer confluiscono nella creazione di quattro articoli: un diario di viaggio dei quartieri più malfamati della città, firmato dal Cronista in Bicicletta; “Il Capolavoro di Cemento”, la storia di un pittore squilibrato rinchiuso in carcere, della sua guardia e musa, e degli ingordi mercanti d’arte che vogliono le sue opere; “Revisioni a un Manifesto”, una cronaca d’amore e morte sulle barricate all’apice della rivolta studentesca; e “La Sala da Pranzo Privata del Commissario di Polizia”, una storia di droghe, rapimenti e alta cucina piena di suspense.
LA RECENSIONE
THE FRENCH DISPATCH È UNA SCATOLA DELLE MERAVIGLIE
Non sono tanti i registi che, grazie alla loro estetica immediatamente riconoscibile, si sono meritati il proprio aggettivo. Wes Anderson con le sue geometrie perfette, la simmetria, i colori pastello, la passione per il design e la moda si è conquistato sul campo l’aggettivo “andersoniano”.
The French Dispatch è un gioco, un divertimento per il regista americano, che porta il proprio stile e la sua poetica alle estreme conseguenze. I vari frammenti che compongono il film sono uniti dal filo di carta del giornale e sembra davvero di sfogliare il supplemento mentre vediamo le immagini susseguirsi sullo schermo. Ci sono episodi più e meno riusciti, alcuni più approfonditi (come quello sul pittore, forse il migliore) e altri più brevi (quello iniziale con Owen Wilson), ma tutti sono un concentrato di estetica andersoniana.
Cura maniacale per ogni dettaglio, dai caratteri con cui è stampato il giornale agli oggetti che vediamo sulle scrivanie dei giornalisti. Abiti raffinati, colori pastello, geometrie perfette (bellissimo il risveglio della città nell’inquadratura fissa). E poi la scelta del bianco e nero che si alterna al colore, proprio come nelle pagine delle riviste di moda.
Chi ama Wes Anderson e l’universo che ha costruito in venti anni di cinema impazzirà per questo esercizio di stile studiato al millimetro, in cui ogni inquadratura, ogni scena nasconde oggetti, riferimenti e piani di lettura che rendono la confezione molto più interessante di quanto non sembri. C’è poi chi sicuramente rimarrà ubriacato da tanto sfoggio, pensando a un semplice marchio di fabbrica ripetuto all’infinito.
Eppure in The French Dispatch c’è anche una nota malinconica, la nostalgia per un mondo che non esiste più e forse non è mai esistito se non sulle pagine delle riviste culturali. La ricerca di un significato, dell’amore, del senso della vita: tutto è assoluto in The French Dispatch. Così come è sempre stato in tutti i film di Wes Anderson.
The French Dispatch porta l’amore per l’immagine e l’estetica a livelli esponenziali. Anche l’amore per le parole non conosce freni: i dialoghi sono onnipresenti e velocissimi, alternandosi a lunghi monologhi, giocando con lingue e accenti. Tra tante parole e tanta ricchezza di immagini si può rimanere frastornati. Se invece si abbraccia questa voglia di esagerare e straboccare di Anderson ci si può riempire occhi e cuore, perché dietro ogni giacca di velluto indossata con disinvoltura, dietro ogni capello scompigliato ad arte di Timothée Chalamet c’è un’ansia di vivere, di riempire il vuoto, di circondarsi di bellezza perché altrimenti si intravede la morte.
Valentina Ariete – Giornalista e redattrice di Movieplayer.it
IL REGISTA
WES ANDERSON
Huston, Texas – 1 maggio 1969
Wesley Wales Anderson, conosciuto come Wes Anderson, è un regista, sceneggiatore, attore e produttore americano di lungometraggi, cortometraggi e pubblicità.
Anderson è stato definito un autore, poiché viene coinvolto in ogni aspetto della produzione dei suoi film.
I suoi lavori sono riconoscibili grazie a un’estetica molto particolare, curata in ogni dettaglio. Fa ricorso spesso a inquadrature simmetriche. I film di Anderson combinano umorismo asciutto con commoventi rappresentazioni di personaggi imperfetti. Ama lavorare spesso con gli stessi attori e membri della troupe su vari progetti.
Fin dal debutto con il cortometraggio BOTTLE ROCKET (1994), Anderson ha creato racconti ironici, surreali, eleganti ed eccentrici, eternamente sospesi tra fiaba e realtà fittizie.
Il regista, sceneggiatore e produttore texano ha creato un universo immaginario, lontano dal reale ma incredibilmente coerente, popolato da personaggi/maschere la cui conoscenza del mondo è continuamente filtrata “dal consumo di cultura pop e dall’apatia congenita”.
I personaggi dei film di Wes Anderson sono perlopiù padri assenti, madri risolute, bambini fuori dal comune, adulti eterni fanciulli. Sono sognatori, spesso depressi. Eppure, sono pieni di vita. Sembrano usciti dalle commedie svitate degli anni Trenta e sono costruiti con
una maniacale cura psicologica ed estetica. .
Wes Anderson ha ricevuto la prima delle sue 5 candidature agli Oscar nel 2001, per la miglior sceneggiatura (“I Tenenbaum”,2000).
Nel 2007, in gara per il Leone d’Oro, “Il treno per il Darjeeling” ha vinto un premio minore.
Con “Moonrise Kingdom” (2012), Anderson ha partecipato a Cannes concorrendo per la Palma d’Oro.
Nel 2015, il film “Grand Budapest Hotel” (2014) ha vinto 4 premi Oscar, il Golden Globe come miglior commedia, 5 premi Bafta, il David di Donatello come miglior film straniero e il Grand Prix della giuria per la regia a Berlino 2014. Grazie al lungometraggio animato in stop motion “L’isola dei cani” (2018), Wes Anderson ha vinto ancora il premio per la miglior regia alla Berlinale 2018.
Insieme alla compagna, la designer e costumista Juman Malouf, nel 2018 Anderson ha curato una mostra d’arte antica presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna.
MGF