GLI UCCELLI

Regia di Alfred Hitchcock – USA, 1963 – 120′
Drammatico – con Jessica Tandy, Rod Taylor, Suzanne Pleshette, Tippi Hedren, Veronica Cartwright

A San Francisco, un brillante avvocato (Rod Taylor) invita l’affascinante e ricca Melanie (Tippi Hedren) a passare dei giorni in villeggiatura a Bodega Bay, per festeggiare il compleanno della sorellina (Veronica Cartwright). Durante la festa, uno stormo di gabbiani attacca gli invitati: sarà soltanto l’inizio di un terribile incubo in cui gli uccelli seminano il terrore tra gli esseri umani.
Tratto da un racconto di Daphne du Maurier, modificato da Alfred Hitchcock e dallo sceneggiatore Evan Hunter, Gli uccelli è probabilmente il film più estremo del regista inglese che, mai prima d’allora, si era spinto tanto in là nelle innovazioni degli effetti speciali pre-digitali e nel ricorrere al para-normale. L’angoscia nasce, in particolar modo, dall’incapacità di capire il motivo di un’aggressione (perché gli uccelli attaccano gli uomini?). Il montaggio è frenetico e il film risulta senza pause o cali di ritmo. Sorprendentemente, la si potrebbe definire una pellicola quasi sperimentale, viste le innovazioni nella colonna sonora: oltre al lavoro del compositore Bernard Herrmann e allo stormire dei volatili, il regista si è avvalso di una pista sonora elettronica all’avanguardia. La suspense, però, cresce grazie al serrato dispositivo visivo (movimenti della mdp, punti di vista, composizioni…) ed è persino più palpabile nelle sequenze di quiete che in quelle dinamiche (basti pensare alla scena della cabina telefonica o al finale).

Paolo Castelli

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GLI UCCELLI, DI ALFRED HITCHCOCK

Simone Emiliani – Sentieriselvaggi.it

Forse il primo vero blockbuster. Con un finale così aperto, minaccioso, che ci poteva partire una saga. Per fortuna ci hanno provato in pochi (René Cardona jr. nel 1987 e Rick Rosenthal, che si è fermato Alan Smithee nel 1994) e hanno fatto danni colossali. Perché forse quel finale, con Melania che deve essere portata in ospedale per le cure e gli uccelli appostati sulla macchina, poteva dar vita ad altri quattro o cinque film. Ma appare al tempo stesso intoccabile.


Tratto dall’omonimo racconto di Daphne du Maurier, Gli uccelli è un vero incubo a cielo aperto. Dove non sembra più esserci via di fuga, neanche dentro casa. Melania Davies (Tippi Hedren) arriva a Bodega Bay, cittadina californiana vicino San Francisco, per regalare una coppia di pappagallini “inseparabili” a Mitch (Rod Taylor), un avvocato che vive sul posto assieme alla madre e alla sorellina e che aveva conosciuto in un negozio di animali. Mentre sta attraversando la baia su un piccolo motoscafo, viene colpita da un gabbiano. Sembra solo un incidente. In realtà gli attacchi si faranno sempre più frequenti e arriveranno a minacciare l’intera comunità.
Parte come una commedia degli equivoci. Con Melania che si finge la commessa del negozio. E Mitch che già la conosceva. Con la solita apparizione di Hitchcock in aperura che esce dal negozio con due cani terrier al guinzaglio. Poi la tensione diventa prima crescente. Poi sempre più devastante. Dove Hitchcock mantiene le tre unità di luogo, tempo, azione e fa diventare Bodega Bay sempre più stretta, claustrofobica. Ma Gli uccelli è anche una partitura visiva e sonora. Di 3000 inquadrature (quasi il triplo di quelle che il regista utilizzava normalmente), in circa 400 c’erano trucchi e fotomontaggi. E sono stati utilizzati diversi fondali perché Hitchcock odiava lavorare in esterno. Con mascherine e fondali illuminate con lampade al sodio su fondale giallo. Seguendo il metodo Walt Disney. Dove c’è tutto Hitchcock negli spostamenti. La magia, l’esposizione di un fondo artificiale. Come Caccia al ladro, Vertigo. Il cinema come gioco infinito. Con momenti altissimi: la corsa dei bambini in fuga dalla scuola, l’agricoltore trovato morto senza occhi. E l’esplosione dal distributore di benzina. Ancora, anzi già, un esplosivo blockbuster. In più, più dell’azione, nel cinema del regista conta come sempre l’attesa. L’immagine degli uccelli fuori scuola. Melanie seduta su una panchina che aspetta la sorella di Mitch. Altro sguardo. Gli uccelli che si sono tutti radunati. Pronti per il nuovo attacco.
C’è qualcosa di più della finzione. Un film tormentato. Già in preda all’isteria. Alla follia. Quasi ogni giorno un membro della troupe doveva ricorrere a cure mediche per l’attacco degli uccelli. Inoltre le riprese sono state interrotte per una settimana per un esaurimento nervosi di Tippi Hedren, nuova musa ossessiva di Hitchcock, protagonista anche del successivo Marnie.
Ma dove Gli uccelli appare ancora più rivoluzionaria è nell’uso del suono. Quasi un altro film insieme. Che scorre parallelamente. Che si concentra soprattutto sui rumori degli uccelli, il battito d’ali, il loro becco che s’infrange sul vetro. C’è un vero e proprio script dei suoni. Manca totalmente l’accompagnamento musicale tradizionale, tranne a un accenno di Première Arabesque di Claude Debussy e Risseldy Rosseldy, la canzone dei bambini nella scuola. Ma ci sono anche i gridi muti. I silenzi. Altra estensione di un lavoro infinito. Ancora oggi tra i film più inquietanti di Hitchcock. Che ha dato vita, nel corso degli anni, a letture religiose, ecologiche, politiche, psicanalitiche. Qui non ci interessa nulla. È un film sempre più sovraumano. Forse uno tra quelli in cui il regista ha messo in gioco se stesso. Anche perché veniva da Psyco, che è stato il suo maggiore successo commerciale. Gli uccelli invece è stato accolto tiepidamente. Anche stroncato. Per una trama non lineare, per un thriller che non seguivale regole canoniche. È stato invece uno dei film di Hitchcock più amati da Fellini. Forse perché il più onirico. Il più pittorico. Come un dipinto che prende forma. Sembra di vedere L’urlo di Munch. Che esce dalla tela e diventa un film.

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GLI UCCELLI, CINQUE SEGRETI SUL CAPOLAVORO DI HITCHCOCK (CHE FU ACCUSATO DI MOLESTIE)

Corriere.it

L’apocalisse vola a Bodega Bay.

Quando la bella e ricca Melanie Daniels (Tippi Hedren) decide di andare a Bodega Bay, sul mare, non lontano da San Francisco, per portare in regalo una coppia di uccelli «inseparabili» all’avvocato Mitch Brenner (Rod Taylor) tutto sembra normale. Invece, inspiegabilmente, nel paese volatili di ogni genere cominciano ad assalire e uccidere le persone. Il terrore scardina il quotidiano, la razionalità perde i punti di riferimento e il panico flirta con l’apocalisse: accade ne «Gli uccelli» di Alfred Hitchcock, enigmatico capolavoro del 1963 in questi giorni in sala nella versione restaurata digitalmente dalla Cineteca di Bologna. Il maestro del brivido, come dichiarò, portò all’estremo le dinamiche della suspense: «Ho fatto in modo che il pubblico non possa mai indovinare quale sarà la scena successiva». Allo spettatore, cui non è concessa nessuna spiegazione, non resta che vivere la paura e il mistero.

Il primo “disaster movie” era “una fantasia”

Arrivato dopo il successo di Psycho (1960), Gli uccelli è il cinquantesimo film di Alfred Hitchcock che lesse l’omonimo racconto di Daphne du Maurier – in un’antologia della serie “Alfred Hitchcock presenta” -, ne tenne solo una vaga traccia e realizzò uno dei suoi film più inquietanti. Considerato dal regista, nello splendido libro-intervista di François Truffaut «Il cinema secondo Hitchcock» (Il Saggiatore), «una costruzione intellettuale, una fantasia», Gli uccelli è diventato il prototipo del «disaster movie», dove un fenomeno naturale spesso inspiegabile mette in scacco tutti e diventa il cuore del film. Promosso come sempre con arguzia dallo stesso Hitchcock «il cui genio pubblicitario – scrisse Truffaut – era pari soltanto a quello di Salvador Dalì» Gli uccelli, costato 2,5 milioni di dollari, ne incassò allora 11,4, corrispondenti a 93.5 attuali.

371 trucchi per un’invasione.

Gli uccelli è un capolavoro anche per i trucchi di scena: 371 inquadrature, su quasi 1.400, sono realizzate con effetti speciali per rendere realistici gli assalti dei volatili. Tra le tecniche, è centrale l’utilizzo del “matte painting” che permette di integrare paesaggi dipinti dall’effetto realistico nell’immagine, come nella scena dell’invasione di una città da parte degli animali e nel finale. Altro ruolo hanno poi i giochi ottici che moltiplicano gli uccelli, inventati e curati da Ub Iwerks, storico animatore che con Walt Disney creò l’anima grafica di Topolino e che venne nominato all’Oscar per il lavoro con Hitchcock. Non mancano alcuni uccelli di cartapesta, tanti dipinti e animati a mano fotogramma per fotogramma e centinaia di volatili ammaestrati da Ray Berwick. Per evitare incidenti fatali agli animali, sul set v’era un ospedale per loro. Altro aspetto all’avanguardia, infine, è il lavoro sugli effetti sonori, supervisionati dal fidato compositore Bernard Herrmann che ha lavorato a una vera e propria partitura di suoni naturali utilizzati con effetti drammatici.

 

Animali di scena e le accuse di molestie a Sir Alfred

Solitamente gli aneddoti su un set riguardano gli attori, ma in questo caso toccano anche gli animali di scena. Da Charlie, che tra gli uccelli addestrati era il più gentile e nutrito da tutta la troupe, al corvo Archie che, al contrario, seguiva l’interprete maschile Rod Taylor dopo le riprese per dargli una beccata ogni giorno. Tra le scene più difficili da realizzare vi è quella in cui Tippi Hedren viene assalita dagli uccelli in un attico: Hitchcock svelò all’attrice solo sul set che avrebbe utilizzato volatili veri e non, come aveva promesso, falsi. Il risultato è intenso, ma Hedren rischiò un esaurimento nervoso. Non era forse l’unico motivo: l’attrice ha dichiarato di essere stata molestata da Sir Alfred, che era nato in Inghilterra nel 1899 e diventò baronetto nel 1980, durante la lavorazione del film, quando lei era trentaduenne. Da un tentativo di bacio in limousine, ad abusi di potere, il controverso rapporto è al centro del film televisivo The Girl (2012), basato su una biografia di Hitchcock, e raccontato dall’attrice nel libro «Tippi: a memoir» (2016).

L’arte di Hitchcock, una scoperta francese.

Oggi Hitchcock è considerato universalmente uno dei più grandi maestri del cinema, ma il riconoscimento arrivò solo alla fine di una lunga carriera iniziata nel muto negli anni Venti. In America, la critica non lo aveva mai molto apprezzato, considerandolo un regista di grande successo commerciale, ma superficiale. La suspense e il modo perfetto in cui la costruiva giocando con le attese degli spettatori, non era considerata arte. È stato merito negli anni Sessanta dei giovani critici della rivista francese Cahiers du Cinéma, diventati poi i registi della Nouvelle Vague, averlo fatto scoprire in Europa e, di ritorno, in America e nel mondo. Il celebre libro-intervista di Truffaut uscito nel 1966, per altro, nacque proprio da una settimana di conversazioni durante la lavorazione de «Gli uccelli». Un film a suo modo unico per Hitchcock che si sentiva turbato sul set, improvvisò alcune scene, come non aveva mai fatto, e ha un finale aperto, senza soluzione, inquietante. C’è chi vi ha letto la paura dell’atomica durante la Guerra Fredda, chi la vendetta della natura contro l’uomo, chi un grande potere del cinema: smuovere paure inconsce.

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MGF