Regia di Antonio Albanese – Italia, 2023 – 94′
con Antonio Albanese, Liliana Bottone, Bebo Storti

 

 

 

 

UN FILM SULL’ITALIA PERBENE, CON BELLISSIME INTUIZIONI DI REGIA E UN ALBANESE COME SEMPRE MAGISTRALE

Il tornio maneggiato con molta perizia da Antonio Albanese nella parte iniziale di Cento domeniche è lo stesso che ha usato per anni quando era operaio specializzato, prima di consegnarsi al cinema. Come se l’attrezzo fosse rimasto ad aspettarlo fino alla prova più importante della sua carriera di attore e regista.
Il particolare è la parte più romantica di un film per il resto fortemente drammatico che piace nel suo rigore, nell’asciuttezza stilistica, nel controcanto dei caratteri e delle psicologie, nella sobrietà dei panorami lacustri e degli interni piccolo borghesi. Siamo a Lecco, dove si specchia l’esistenza quieta, senza pretese, definitiva di Antonio Riva, gran lavoratore da poco in prepensionamento per certe turbolenze dell’azienda, amico del titolare (Elio De Capitani) che ne apprezza la competenza e le qualità umane e ancora si serve di lui per istruire gli apprendisti avendo cura che non lo sappia il sindacato.
Antonio vive con la mamma anziana (Giulia Lazzarini, 89 anni), ha un’ex moglie con la quale è rimasto in buoni rapporti (Sandra Ceccarelli) e una brava figlia, Emilia (Liliana Bottone), in procinto di sposarsi con il socio del negozio di abbigliamento in cui lavorano entrambi. L’uomo ha un gruzzolo in una banca locale, è la sua sicurezza. Ma ha convertito le obbligazioni in azioni senza rendersi conto che la barca stava andando nei pali. Tra l’altro proprio quando si era deciso, con orgoglio paterno, a sostenere i costi del matrimonio di Emilia nonostante i genitori dello sposo, più facoltosi, si fossero offerti di fare altrettanto.
Antonio ha un sogno da onorare e non sente ragioni anche se le avvisaglie della tempesta si moltiplicano: 30 mila euro è l’entità del prestito chiesto alla banca con l’intesa che gli interessi sarebbero stati presto ripagati dal buon andamento delle azioni. Invece tutto crolla, gli impiegati diventano evasivi, frettolosi, usano parole di circostanza. I giornali cominciano a parlare di crack. Un conoscente nelle stesse condizioni del buon Antonio va fuori di testa. Insomma, il piccolo patrimonio sfuma e per l’operaio specializzato Riva è un’insopportabile vergogna.
I risparmi di una vita coscienziosa e perbene, fedele alle regole e ai principi, vengono cancellati dalla speculazione. Antonio si sente tradito, ma testardamente rifiuta ogni aiuto, trascinato nella disperazione dalla consapevolezza che non tutti subiranno quell’onta. Albanese racconta un horror sociale: il precipizio di un uomo che si trova di fronte a un muro e cede alla depressione. Abituato a usare le mani e con quelle a determinare il suo destino, Antonio è ora impotente. Altri manovrano contro di lui. Gli tolgono la capacità di scelta, la forza di reagire, la dignità.
Albanese guarda all’attualità e scorge un mondo di truffatori e di truffati, in cui il buon senso, l’etica, la parsimonia, anche sentimentale, sono una chimera e la solidarietà è commiserazione. Non è più tempo di ridere, sembra dire il comico Albanese, se la società non riconosce i meriti, nega la buone azioni e trasforma i gentili in fessi da raggirare e i virtuosi in gente che non conta nulla. Il discorso del film è politico, sociale e di prospettiva: quale futuro può esserci di fronte a questa rovinosa deregulation etica. Alla quinta regia, Albanese conferma uno stile che rimonta alla grande lezione di Ermanno Olmi, a un cinema senza aggettivi, fedele alla grammatica delle emozioni. E da lodare è il coraggio, ripetutamente dimostrato, di saper rinunciare ai vantaggi di un enorme credito popolare maturato grazie alla televisione, per un cinema civile, appassionato, che è una lama nella coscienza collettiva. Nota finale: le cento domeniche citate nel titolo è il tempo che in media un operaio della provincia italiana degli anni Sessanta impiegava per costruire la propria casa, attività a cui normalmente poteva dedicarsi solamente nel fine settimana quando non lavorava in fabbrica.

Paolo Baldini – Corriere della Sera


Da commedia gentile ad angosciante tragedia: Antonio Albanese torna nei suoi luoghi d’origine con un film che sa unire l’urgenza del racconto alla sincerità d’esecuzione. I sogni infranti dei piccoli risparmiatori traditi dalle banche di fiducia.


Più amaro di Ken Loach, Albanese firma il suo miglior film da regista, ammirevole per il nobile impegno civile e l’autenticità di scavo esistenziale, tornando nella nativa Olginate a raccontare il misero destino della brava gente finita sul lastrico per essersi fidata delle banche.


Trasformista capace di far ridere o piangere con egual intensità, Albanese stavolta ci prende per mano per accompagnarci all’altare sacrificale della finanza creativa. Interpreta, scrive e dirige un film confidenziale sul dramma dei piccoli risparmiatori abbindolati dalle banche, convinti – come Pinocchio dal Gatto e la Volpe – a firmare contratti complessi senza farsi troppe domande

Recensioni
3,5/5 Movieplayer
3,6/5 MyMovies
6/10 Ondacinema

 

VENT’ANNI DI CRACK DELLE BANCHE

Dal caso Cirio agli scandali Parmalat, Veneto Banca e Popolare di Vicenza all’ultimo della Banca Popolare di Bari. I crack bancari e finanziari degli ultimi anni, tra fallimenti e liquidazioni che si sono succeduti nel nostro paese e all’estero, hanno trascinato nel baratro oltre 1,3 milioni di risparmiatori italiani, i quali hanno visto andare in fumo complessivamente più di 45,4 miliardi di euro investiti in azioni, obbligazioni e titoli vari.
Così il Codacons che stima una perdita media di 34.427 euro a risparmiatore. Con il caso di Banca Popolare di Bari, l’associazione dei consumatori trae spunto per aggiornare i conti dei principali default registrati a partire dall’anno 2000 e che hanno coinvolto le tasche degli italiani, cancellando i risparmi investiti.
Si parte con i casi Bipop-Carire, Argentina e Cirio che tra il 2001 e il 2002 hanno coinvolto complessivamente più di 500mila risparmiatori italiani, passando per gli scandali Parmalat (2003, 110mila investitori) e Lehman Brothers (2008, 100mila investitori), fino ad arrivare ai più recenti Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza (2016, oltre 206mila investitori coinvolti).
Banca Popolare di Bari ha bruciato fino ad oggi 1,5 miliardi di euro di risparmio dei 70mila soci attraverso l’azzeramento del valore delle azioni, e al momento non si  conosce il destino dei 213 milioni di euro investiti dai piccoli risparmiatori in obbligazioni della banca.
Il conto totale per la collettività – dice il Codacons – è abnorme: dal 2001 ad oggi più di 45,4 miliardi di euro di risparmi sono letteralmente andati in fumo, e solo una minima parte di tali investimenti è stata poi recuperata dai piccoli risparmiatori

 

CONSIGLI DI LETTURA

L’ITALIA DEI CRACK. VITTIME, ARTEFICI E MANDANTI DELLE TRUFFE FINANZIARIE DEGLI ULTIMI ANNI
di Mara Monti

 

È la parabola della Parmalat e del suo fondatore, Calisto Tanzi. Vicenda parallela a quella di Sergio Cragnotti e della Cirio. Era dai tempi del crack Ambrosiano e del Banco di Napoli che non si vedevano dissesti di queste dimensioni. Più di mezzo milione le vittime dei crack degli ultimi anni: dai bond venduti come sicuri e divenuti carta straccia dopo l’insolvenza (Parmalat, Cirio, Giacomelli, Fin.part), ai derivati spericolati di Italease, fino alle dot.com della new economy all’inizio degli anni 2000 (Freedomland, Finmatica, Opengate e Algol). “L’Italia dei crack” ripercorre le storie del malfunzionamento del sistema finanziario italiano, gli intrecci con le banche, i controlli troppo laschi, i conflitti d’interesse dei revisori, dei sindaci e dei consiglieri. Una ricostruzione lucida e rigorosa che svela misteri e retroscena del fallimento di alcune grandi società, anche alla luce delle sentenze che la giustizia ha finalmente emesso.

 

 

MGF