Regia di Nida Manzoor – Gran Bretagna, 2023 – 103′
con Priya Kansara, Ritu Arya, Nimra Bucha
Commedia – Azione

 

 

 

 

 

 

UNA STORIA DI SORELLANZA, VERA E IDEALE, AL CENTRO DI UNA COMMEDIA PRODOTTO PERFETTO DEL NOSTRO TEMPO

Polite Society. Operazione matrimonio è il primo film della regista e sceneggiatrice britannica Nida Manzoor, che mescola abilmente la
commedia adolescenziale di crescita, il vivace cinema di Bollywood e le spettacolari sequenze di arti marziali. Nonostante le influenze
riconoscibili, il suo stile emerge in modo immediato e i primi minuti del film, frutto della creatività di Manzoor, già nota per la serie TV We Are Lady Parts (2018), offrono una prima parte fresca e ricca di potenzialità. La trama ruota attorno alle fantasie egoistiche di una giovane ragazza in piena adolescenza e alle autentiche preoccupazioni di due sorelle riguardo all’impatto del fidanzamento della sorella maggiore, sul loro legame e sui loro sogni.
Ria, la sorella minore interpretata dalla debuttante Priya Kansara, è una ragazza musulmana di origine pakistana, che vive a Londra
coltivando il grande sogno di diventare una delle migliori stuntwoman britanniche. La sua figura è strettamente legata a quella di Lena,
sorella maggiore interpretata da Ritu Arya di The Umbrella Academy (2008), in una tipica dinamica di sostegno reciproco tra due sorelle che
affrontano insieme le sfide del mondo. Lena è appena tornata a casa dopo aver abbandonato l’accademia d’arte ed è un punto di
riferimento importante per Ria, che può contare su di lei per girare i video amatoriali delle sue acrobazie sul canale YouTube. Questa
collaborazione, però, è oggetto di disapprovazione da parte dei loro genitori tradizionalisti, i quali cercano per le loro figlie una carriera più
convenzionale.
I primi 20 minuti del film sono un incantevole mix di melodrammi adolescenziali e sciocchezze esagerate, arricchito da una spruzzata di arti
marziali. È un vero piacere osservare l’angoscia e l’energia incontenibile dell’adolescenza che si trasformano in una battaglia immaginaria di
arti marziali, soprattutto quando Ria percepisce la minaccia esistenziale che si materializza in Salim (Akshay Khanna), un affascinante medico e unico figlio della ricca e premurosa matriarca Shah (Nimra Bucha). Salim conquista Lena e promette di sposarla, sconvolgendo così il mondo di Ria.

Nida Manzoor crea un affascinante contrasto tra le due sorelle che offre momenti divertenti, come i piani di Ria per compromettere la reputazione di Salim con l’aiuto delle sue fedeli amiche. Magistralmente realizzate anche le ripetute scene in cui Ria lancia sguardi furiosi dalla finestra al piano superiore nel tentativo di sabotare gli appuntamenti di Salim e Lena. Molto vivace il sound design del film, che contribuisce a creare un equilibrio tra le scene d’azione e le emozioni autentiche, così come la sceneggiatura tagliente di Manzoor, insieme alla genuina connessione tra Kansara e Arya, conferiscono autenticità alla paura di Ria che veste al meglio i panni della protagonista femminile forte e indipendente in un contesto sociale restrittivo.
Soltanto in procinto del terzo atto viene meno l’equilibrio straordinario del tono e l’originalità costruiti precedentemente. Il contrasto piacevole tra le fantasiose macchinazioni di Ria e la banalità spaventosa dell’età adulta svanisce, rendendo la trama meno divertente e
meno distintiva, tuttavia, Polite Society. Operazione matrimonio rimane un film divertente dall’inizio alla fine, dall’atteggiamento ribelle e con scene d’azione vivaci. La Manzoor è così piena di energia da far pensare già ad un possibile sequel.

Dietro alle arti marziali un po’ goffe e molto da ridere (la Manzoor è grande fan di Jackie Chan), dietro alla pur blanda critica sociale, Polite Society è e rimane un film su due sorelle e sul loro legame, un legame che chiunque abbia una sorella, o un fratello, può comprendere bene. Due sorelle accompagnate da un cast di contorno tutto da ridere.
Un film su due sorelle, i loro sogni, e i sogni infranti di certe donne del passato, che si sono tramutati in mostri della mente,
per tanto dolorosa è stata quella rottura. Due sorelle, un hamburger da addentare, e una vita tutta da vivere. Con irriverenza punk.

Matteo di Maria – Sentieri Selvaggi

LA REGISTA

NIDA MANZOOR

E’ una scrittrice, interprete e produttrice britannica. È meglio conosciuta per la sua mostra personale autobiografica Burq Off! e per la sua serie web Shugs & Fats.
Se c’è una cosa che so fare bene, è mentire. Crescendo nel Regno Unito, in una famiglia pakistana musulmana e tradizionalista, ho fatto un sacco di pratica. Mentivo agli Inglesi, perché volevo essere come loro, ma ho anche mentito
alla mia famiglia. Ho vissuto intrappolata tra libertà e limitazione. Avevo passato la maggior parte della mia vita a fingere.
A volte dietro un burqa, altre in un bikini, provando allo stesso tempo a trovare e nascondere me stessa, ma fondamentalmente sempre di corsa. È solo quando sono salita sul palco per raccontare la mia storia, che la mia finzione è diventata autentica. Condividendo la verità del mio passato, mi sono liberata della necessità di mentire.

 

 

LE ATTRICI PROTAGONISTE

PRIYA UDAY KANSARA

E’ un’attrice britannica. È sconosciuta ma ha un aspetto familiare. Dove l’abbiamo vista? È
Miss Eaton di Bridgerton, una delle candidate che il visconte Anthony intervista per trovare la futura moglie. E sì, è quella che sa anche cucire i cappellini a mano. Incredibile ma vero, ha conquistato la parte al primo provino della carriera, il che la dice lunga sulla sua determinazione. Dal carattere solare, travolge tutto con la sua energia. L’attrice, con radici ben profonde in India, è al primo ruolo da protagonista in Polite Society che parla di inclusione e stereotipi in un modo nuovo. «Il mondo può essere ancora un posto crudele, soprattutto per le donne, ma credo che possiamo cambiarlo. Quindi meritiamo di credere in noi stesse e di credere nel potere che abbiamo»
“È stato fantastico recitare in Polite Society.. Penso che la bellezza del raccontare storie sia proprio questa: poter mostrare l’esperienza umana a 360 gradi. Abbiamo lo stesso spettro di emozioni degli uomini: proviamo anche noi rabbia, quindi perché non farlo vedere? È stato catartico anche per me essere così arrabbiata e prendere a calci qualcuno! È stato bellissimo”.

 

RITU ARYA

E’ nata a Guildford, nella contea del Surrey, si è laureata all’Università di Southampton e
successivamente ha frequentato l’Oxford School of Drama.
Ha raggiunto la notorietà prendendo parte, tra il 2007 e il 2013 alla soap opera Doctors, recitando il ruolo della psichiatra Megan Sharma. Dopo alcuni ruoli minori in singoli episodi di serie TV, nel 2020 è stata scritturata per il ruolo di Lila Pitts nella seconda e terza stagione di The Umbrella Academy. Nel 2021 è tra i protagonisti del colossal Red Notice, al fianco di Dwayne Johnson, Ryan Reynolds e Gal Gadot.
Dal 2019 è legata sentimentalmente all’attore David Castaneda, conosciuto sul set di The Umbrella Academy.

 

 

Recensioni
3,6/5 Sentieri selvaggi
3/5 Movieplayer
3,5/5 Coming Soon

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MGF

Regia di Sam Mendes –USA, 2022 – 119′
con OliviaColman, MichealWard,Tanya Moodie
Drammatico,sentimentale

 

 

 

 

 

SAM MENDES CERCA LA VIA DI UN CINEMA PIÙ INTIMO E PERSONALE, TORNA AGLI ANNI ‘80 E COSTRUISCE UN DRAMMA ROMANTICO

Dopo un trittico di film spettacolari (i bondiani Skyfall e Spectre, e il virtuosistico 1917), Sam Mendes ha deciso di riconciliarsi con un cinema più intimo e personale, pur senza sfociare nell’autobiografia, come hanno fatto recentemente molti suoi colleghi, daCuaróna Spielberg.

Empire of Light infatti è ambientato negli anni ’80 e ha come fulcro, sia perché ne è lo sfondo principale, sia perché è uno dei temi cardine dell’intero film, un cinema, quello in cui lavora Hilary (Olivia Colman) e dove – sfidando la relazione clandestina ma noiosa con il proprietario della sala (Colin Firth) – si innamora di Stephen (Micheal Ward), giovane commesso afro-discendente, da cui oltre il colore dell’incarnato la divide anche una notevole differenza d’età.

Da una parte l’arte popolare e l’emozione, luoghi simbolici in cui poter essere se stessi e amarsi senza paura, dall’altra “il mondo fuori”, che ci opprime e ci costringe a nasconderci: quella di Mendes è una visione romantica della questione, come se il cinema proprio in quanto arte
popolare non rispecchiasse quel mondo, non ne fosse eco o conseguenza, però fa parte del gioco di un film pensato per titillare i ricordi e le emozioni di un pubblico di riferimento chiaro.

 

Quello che invece fa meno parte di questo gioco è la forma che il regista gli ha dato, come se avesse intenzione di riesumare i fantasmi decadenti dell’accademia britannica che 40 anni di cinema britannico avevano spazzato via con risolutezza: scrittura scolastica nel procedere della passione, perfetta per garantire a Colman premi e candidature, costruita col bilancino dei ricatti emotivi (non manca la follia), una regia poco sentita, troppo corretta e impostata, ad altezza di emotività senile e con pochissimi tocchi ironici (meno che mai quelli sorprendenti).

È uno di quei film per cui si finisce col dire “bravi gli attori (vero), bella la fotografia”: verissimo, perché Roger Deakins (ennesima candidatura all’Oscar) è un maestro e qui, dentro questo film tiepido e prevedibile come un centrino di lana sulla cassettiera della nonna, può far cantare in maniera magnifica le sue immagini, può cullare lo spettatore dentro la bellezza del cinema e delle sue luci.

Ecco dov’è l’impero della luce di cui parla il titolo, nel lavoro visuale di un genio del colore e delle ombre cinematografiche, perché se lo cercassimo dentro questo film intessuto di solitudine, repressione e un po’ di mestizia, che fa fatica ad animarsi e ad accendersi come invece vorrebbe, rischieremmo di trovarci delusi.

EmanueleRauco -Cinematografo.it

 

 

IL REGISTA SAM MENDES

Sir Samuel Alexander “Sam” Mendes (Reading, 1º agosto 1965) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico britannico. Dopo gli esordi a teatro e la direzione artistica della Donmar Warehouse di Londra, Mendes ha fatto il suo debutto alla regia cinematografica con il film American Beauty (1999), per cui ha vinto il Premio Oscar come miglior regista. Nel 2020 gli è stato conferito il cavalierato per i suoi servizi all’arte drammatica.

 

 

 

 

OLIVIA COLMAN

Pseudonimo di Sarah Caroline Colman (Norwich, 30 gennaio 1974), è un’attrice britannica.
Considerata una delle migliori attrici del mondo, ha ricevuto il plauso della critica per la sua interpretazione della Regina Anna di Gran Bretagna nel film biografico La favorita, grazie a cui si è
aggiudicata il Premio Oscar per la miglior attrice. Nel 2021 ha ricevuto la sua seconda candidatura
all’Oscar per la migliore attrice non protagonista per la sua interpretazione nel film The Father – Nulla è
come sembra, mentre nel 2022 viene nuovamente candidata all’Oscar alla miglior attrice per La figlia
oscura.

Molto attiva in campo televisivo, dove possiamo trovarla nella serie Broadchurch (2013-2017), nella miniserie The Night Manager (2016) e nella serie Netflix The Crown (2019-2020), per cui ha vestito i panni della regina Elisabetta II nella terza e quarta stagione; quest’ultimo ruolo le ha anche garantito la vittoria del Premio Emmy nel 2021.

 

 

MICHAEL WARD

Rimasto orfano di padre a due anni, Micheal Ward si è trasferito con la famiglia a Londra dalla Giamaica nel 2001.
Dopo aver lavorato qualche anno come modello ha fatto il suo esordio sul grande schermo nel 2016 nel film Brotherhood, mentre due anni dopo ha interpretato il ruolo principale di Brendan in The A List. Nel 2020 ha vinto il BAFTA perla miglior stella emergente e nel 2022 è stato diretto da Sam Mendes nel film Empire of Light, per cui ha ricevuto una candidatura al BAFTA al miglior attore non protagonista.

 

 

COLIN FIRTH

Colin Andrew Firth (Grayshott, 10 settembre 1960) è un attore britannico naturalizzato italiano.
Ha recitato in numerosi film di successo quali La fidanzata ideale, Il diario di Bridget Jones, La ragazza con l’orecchino di perla, Love Actually – L’amore davvero, L’importanza di chiamarsi Ernest, A Single Man, Mamma Mia!, Orgoglio e pregiudizio, Un matrimonio all’inglese e Il
discorso del re.
Attore versatile e pluripremiato, vince nel 2009 la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e il Premio BAFTA al miglior attore per A Single Man di Tom Ford, ricevendo la sua prima candidatura all’Oscar al miglior attore.
Nel 2011, grazie all’interpretazione di Giorgio VI del Regno Unito ne Il discorso del re di Tom Hooper vince il Premio Oscar come miglior attore protagonista, il Golden Globe per il miglior attore in un film drammatico, il Premio BAFTA e due Screen Actors Guild. Nel 2000 debutta da scrittore con The Department of Nothing.

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EMPIRE OF LIGHT ha ottenuto 1 candidatura a Premi Oscar, 1 candidatura a Golden Globes, 4 candidature aBAFTA,1 candidatura a Critics Choice Award, In Italia al Box Office ha incassato 393 mila euro

Recensioni
6/10 IGN Italia
3/5 Movieplayer
3/5Comingsoon

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CHIARA

Biografico
Regia di Susanna Nicchiarelli – Italia, Belgio, 2022 –
Durata 106′
con Margherita Mazzucco, Andrea Carpenzano, Carlotta Natoli, Paola Tiziana Cruciani

UN’ODE AL SAPER VIVERE FEMMINILE, QUASI UN MUSICAL DALLE TINTE SFUMATE

Dopo Nico, 1988 e Miss Marx, Susanna Nicchiarelli torna a raccontare di una donna in grado di segnare la storia.
La regista e sceneggiatrice affronta una figura femminile centrale giustapponendola alla sua epoca e contestualizzandola all’interno della società patriarcale.
Chiara viene considerata proprietà del padre e le viene vietato (inizialmente) il privilegio della povertà perché “senza possessione non c’è protezione”, sua sorella biologica trova rifugio in convento per sottrarsi ad un matrimonio combinato, e alle Clarisse sarà vietato uscire dal convento per viaggiare verso i luoghi sacri della religione, perché “sono femmine, non frati”.
L’accento di Nicchiarelli è anche sulla dimensione comunitaria e solidale che si crea intorno a Chiara, che rifiuta ogni impostazione gerarchica all’interno del suo ordine proclamando “qui non ci sono serve” e rifiutando di definirsi badessa. Ma la ragazza resta una figura carismatica che raccoglie e galvanizza l’energia femminile che la circonda (bella la scena in cui, cantando il suo nome, donne di ogni età e provenienza vengono attirate verso il convento), e la sua quieta determinazione conquista cardinali che diventeranno Papi, opera prodigi, cura gli infermi e le anime.

Paola Casella – MyMovies

LA STORIA DI CHIARA D’ ASSISI

Agli inizi del Duecento, una giovane ragazza nobile di nome Chiara scappa con una cara amica dalla casa paterna per seguire le orme di Francesco.
Francesco ha fondato un ordine di frati basato sulla vita in povertà che prontamente accoglie le ragazze. Chiara, spogliata delle sue nobili vesti, non avrà però vita semplice: le opposizioni paterne, quelle del pontificato e infine anche gli scontri con Francesco, ostacoleranno il desiderio della ragazza di servire il popolo. D’altronde, ricordiamolo, a vivere tutto ciò è una donna diciottenne del XIII Secolo.

 

L’UMBRIA PROTAGONISTA

A livello paesaggistico, la protagonista del film è l’Umbria. La terra d’origine non solo di Santa Chiara, ma anche di Nicchiarelli. La location principale è la Chiesa di San Pietro a Tuscania (ambientazione di film come Uccellacci e Uccellini), ampia pietra immersa nel verde che è luminosa di giorno e angosciante di notte, ma sempre credibile. Infine, una nota di merito va alle scene conviviali: in Chiara i banchetti non
mancano e, a seconda della situazione e dei personaggi, sono ricchi, scarni o esotici.

 

LA MUSICALITA’ DI CHIARA

Chiara è un film che viaggia indietro nel tempo ma che porta con se il presente, soprattutto a livello sonoro. La lingua in cui i personaggi
parlano è un volgare dialettale dalle cadenze umbre, che si alterna al latino dei testi e al francese delle canzoni che pervadono le scene. L’utilizzo di queste tre lingue collabora a trasmettere l’atmosfera del XIII Secolo: Chiara parlava in volgare, predicava in volgare perché era la lingua del popolo, un parlato distante dal latino ecclesiastico. Francesco inoltre amava il francese, il suo nome deriva proprio da quella lingua, quella delle chanson. La modernità di Chiara non è tanto nelle parole utilizzate, quanto nel montaggio sonoro: pur non essendo un musical, nel film i personaggi ballano e cantano interrompendo l’azione e venendo pervasi dalla musica e si coglie la volontà della regista di realizzare un film che possa parlare dei giovani di allora e che sia allo stesso tempo in grado di comunicare ai giovani di oggi.

 

IL DUO MAZZUCCO – CARPENZANO

Le scene più belle sono quelle in cui Chiara e Francesco sono fianco a fianco. La forza dei personaggi nella storia è resa dal potente duo attoriale Mazzucco e Carpenzano. Lei, una ragazza di diciotto anni reduce dalla serie di successo L’amica geniale. Lui, un attore promettente del cinema indipendente italiano (soprattutto con i Fratelli D’Innocenzo). I volti di pietra, gli sguardi persi che hanno contraddistinto i personaggi precedentemente interpretati dalla coppia di attori, questa volta vengono adattati allo scenario religioso e pittorico di Chiara. Mazzucco e Carpenzano sanno alternare spiritualità e pathos religiosi ai tipici sentimenti dei giovani: l’entusiasmo, l’idealismo, la voglia di cambiare il mondo.

 

MGF

IL SOGNO DI FRANCESCO

Biografico
Regia di Renaud Fely, Arnaud Louvet – Francia, Belgio, Italia, 2016
durata 90 minuti.
con Elio Germano, Jérémie Renier, Yannick, Renier, Éric Caravaca, Marcello Mazzarella

 

CON UNO STIE CHE SI POTREBBE DEFINIRE QUASI BRESSONIANO, IL FILM SEGUE LE VICENDE DI FRATE ELIA, UNO DEI PIU’ FEDELI COMPAGNI DI FRANCESCO D’ ASSISI

Assisi 1209. Francesco ha appena subito il rifiuto da parte di Innocenzo III di approvare la prima versione della Regola, che metterebbe i fratelli al riparo dalle minacce che gravano su di essi. Intorno a lui, tra i compagni della prima ora, l’amico fraterno Elia da Cortona guida il
difficile dialogo tra la confraternita e il Papato: per ottenere il riconoscimento dell’Ordine, Elia cerca di convincere Francesco della necessità di abbandonare l’intransigenza dimostrata finora, accettando di redigere una nuova Regola. Ma che cosa resterebbe del sogno di Francesco?

Nel libro “I Papi. Storia e segreti” di Claudio Rendina a proposito di Innocenzo III si legge: “Poco poteva essere lo spazio lasciato a certi movimenti pauperistici; si salvarono soltanto quelli che seppero mantenersi nei limiti dell’idealizzazione di una virtuosa vita cristiana, senza atteggiarsi troppo a condannare chi stava in alto, finendo per concordare una Regola e il riconoscimento del loro movimento come vero e proprio ordine religioso in seno alla Chiesa“. La sequenza di apertura, con il pontefice che ritiene utile per i porci la prima stesura della Regola francescana, chiarisce in modo efficace quanto sopra descritto.
Fely e Louvet sono assolutamente consapevoli di essere stati preceduti nel raccontare la figura del poverello di Assisi da nomi come Rossellini, Cavani, Zeffirelli e forse proprio per questo focalizzano la loro attenzione sul rapporto con frate Elia in cui si sviluppa il processo di trasformazione dello spirito originario del francescanesimo. Con uno stile che si potrebbe definire quasi bressoniano ci viene proposta la vicenda dal punto di vista dello stesso Elia del quale si mostra l’adesione allo spirito del fondatore nonché un’amicizia sincera che entrano in conflitto con l’esigenza ‘politica’ di ottenere un riconoscimento ufficiale. Il quale può essere ottenuto solo attenuando la radicalità evangelica ed accettando compromessi che Francesco non può fare propri.
La sceneggiatura, suddividendo la narrazione in capitoli dedicati a personaggi diversi della prima comunità francescana e grazie a una sentita adesione di Elio Germano e di Jeremie Renier ai reciproci personaggi, ci pone di fronte ad un dilemma che attraversa i secoli e si ripropone costantemente sia in movimenti religiosi che laici. Quanto la spinta iniziale può stemperarsi nel corso del tempo con la convinzione che il fine resti immutato ma che i mezzi per raggiungerlo debbano adattarsi alle contingenze?
Non è poi affatto casuale che un film come questo, che riflette sullo spirito evangelico, veda la luce degli schermi nel momento in cui a Roma siede il primo pontefice che abbia assunto il nome del santo di Assisi mandando un segnale preciso alla Chiesa universale.

Giancarlo Zappoli – MyMovies.it

LE RECENSIONI

“San Paolo è la Dottrina, Sant’Agostino il Pensiero, ma San Francesco è qualcosa di più: un’Utopia incarnata la cui forza ha attraversato i secoli concretizzandosi ora nel mandato di Papa Bergoglio, che simbolicamente ne ha assunto il nome. Parte da quest’assunto il film dei francesi Renaud Fély e Arnaud Louvet (…). Bressoniana, e quindi « francescana» nello stile, la pellicola è divisa in capitoletti di esile ordito e tuttavia, anche grazie agli interpreti, le figure dei due protagonisti emergono vivide e convincenti: Elio Germano è un Francesco poetico e sognatore, Jérémie Renier conferisce a Elia una qualità molto umana di dubbio e crisi di coscienza.”
(Alessandra Levantesi Kezich, ‘La Stampa’, 6 ottobre 2016)

 

“Le attenzioni del cinema per il Poverello di Assisi sono state tante: da Rossellini a Zeffirelli alle tre rivisitazioni compiute da Liliana Cavani.
Questo nuovo film francese, recitato in francese anche dagli italiani del cast a partire da Elio Germano, concentra il suo misuratissimo svolgimento su un dilemma di natura politica. (…) La riscrittura della Regola, dice il film, condusse sì al riconoscimento pieno ma a prezzo di rinunce: soprattutto al principio che ci si debba ribellare alla gerarchia se lo si ritiene giusto.”
(Paolo D’Agostini, ‘La Repubblica’, 6 ottobre 201)

 

“Nuova incursione del cinema nelle vicende del Poverello d’Assisi, questa volta scritta e diretta da due registi francesi, Renaud Fély e Arnaud
Louvet, che hanno voluto ‘essere con lui’ nella più spoglia delle autenticità possibili, con un minimo di mediazione artistica, prendendo assai più a modello la lezione didascalica di Roberto Rossellini, piuttosto che le interpretazioni tormentate e radicali di Liliana Cavani o l’elegante spettacolarità di Franco Zeffirelli. Non hanno voluto seguire alcuna biografia e nemmeno legarsi ai testi ufficiali del francescanesimo ma avvicinarsi il più possibile alla figura umana di Francesco, sempre attuale (…). Sogno e realtà, utopia e storia: dal 1209 agli ultimi giorni terreni del santo, il film approccia con un rigore ‘francescano’ la dialettica tra la visione del fondatore e la necessità di incarnarla in una
Regola – il cui cammino fu realmente tribolato – approvata dalla Chiesa, per mantenere una purezza teologica e assicurare una correttezza dottrinale, quando in quell’epoca il pauperismo assumeva anche derive ereticali.
(Luca Pellegrini, ‘Avvenire’, 7 ottobre 2016)

 

“Non è un biopic su San Francesco l’esordio in regia del duo francese Fély-Louvet, bensì una riflessione profonda sul peso di un’utopia
rivoluzionaria di fronte allaV mediocrità e all’ipocrisia del Potere.
La figura e le gesta sempre attuali di Francesco si prestano alla perfezione, per credenti e non, all’obiettivo così come l’obiettivo dei registi è solido dentro a un’arte povera e ‘naturale’. Germano e Renier incantano.”
(Anna Maria Pasetti, ‘Il Fatto Quotidiano’, 6 ottobre 2016)

MGF

 

 

Drammatico – 102′
Regia di Oliver Hermanus – Gran Bretagna, 2022
con Bill Nighy, Aimee Lou Wood, Alex Sharp

 

 

 

 

 

 

LA TRAMA

Williams è un veterano della Seconda Guerra Mondiale e lavora come impiegato in un ufficio governativo, l’ennesimo ingranaggio della burocrazia Il suo compito consiste nello stabilire se chi richiede le autorizzazioni per utilizzare i luoghi pubblici ha i titoli per farlo, ed è inappuntabile nell’eseguire le pratiche.. Gli viene diagnosticata una malattia molto grave ma piuttosto che informare il figlio, ormai adulto e unico parente che gli è rimasto dopo la morte della moglie, decide di ignorare la situazione e trascorrere una notte brava con uno scrittore bohémien. Tuttavia l’incontro con un ex collega, Margaret, lo spingerà a ritrovare il significato della vita e del tempo che gli resta., tanto da iniziare a prendere in considerazione la possibilità di favorire la richiesta, apparentemente inaccettabile, della concessione di un parco giochi per piccoli pargoli…

 

LA RECENSIONE

IL SENSO DELLA VITA PER BILL NIGHY IN UN FILM TOCCANTE, TRA TOLSTOJ E KUROSAWA

Qualcuno potrebbe pensare che si deve essere davvero dei pazzi per decidere di confrontarsi con il remake di un capolavoro di Akira Kurosawa. Le possibilità di venire schiacciati dal peso del confronto sono innumerevoli. È normale quindi che all’annuncio del rifacimento di Vivere, classico del 1952 firmato dal regista giapponese (a sua volta ispirato ad una novella di Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il’ič), in molti
abbiamo storto il naso. Ma Living, film diretto da Oliver Hermanus e scritto dal Premio Nobel Kazuo Ishiguro non è soltanto un remake/omaggio riuscito ma anche un film profondamente commovente.
Spostando l’ambientazione del film da Tokyo alla Londra del 1953 ancora intenta a fare i conti con le macerie materiali e morali della Seconda Guerra Mondiale, Living racconta la storia di Mr. Williams (un gigantesco Bill Nighy), anziano dipendente pubblico stretto nella morsa di una vita sempre uguale resa ancora più solitaria dalla morte della moglie. Quando scopre di avere un male incurabile la notizia
lo porta a fare un bilancio della sua esistenza e decide di spendere gli ultimi mesi che gli restano da vivere provando a non sprecarne nemmeno un minuto. Grazie all’aiuto di Peter (Alex Sharp), un giovane idealista appena assunto, William decide di prendere in mano una pratica aperta da un gruppo di mamme decise a far costruire un parto giochi in un’area degradata. Non è un caso che l’adattamento del film di Kurosawa sia ambientato in Inghilterra: anche la società inglese ha una capacità di controllare le emozioni fino a reprimerle. È quello che ha fatto Williams per oltre vent’anni dopo la morte della moglie. Ma quella sentenza di morte scatena in lui un’irrefrenabile voglia di vivere. Il film di Hermanus lo mette in scena in modo molto preciso mostrandoci la freddezza e compostezza dell’ambiente lavorativo e casalingo della prima parte della sceneggiatura, con lo schiudersi del protagonista nella seconda parte. La scrittura di Ishiguro è raffinata nel creare un’atmosfera quasi sospesa, dosando con attenzione le parole. La fotografia di Jamie Ramsay dona al film uno spessore, una densità tali da
sembrare scatti di un’epoca passata nel suo giocare sui contrasti. Come quelli interiori che vive il protagonista di questa storia. Uno zombie che per anni ha camminato senza una meta in grado di afferrare tutta la bellezza della vita ad un passo dalla sua fine.

Manuela Sattacatterina – Giornalista e critico cinematografico

 

IL REGISTA

OLIVER HERMANUS
Cape Town – Sudafrica – 1983

 

 

 

Oliver Hermanus e un regista e scrittore sudafricano. Dopo la laurea in cinema, media e studi visivi, ha lavorato come fotografo per un’agenzia di stampa. Ha poi completato gli studi alla London Film School, realizzando il suo primo film, Shirley Adams (2009).
In seguito ha diretto Beauty (vincitore del Queer Palm Award al Festival di Cannes 2011), The Endless River (primo film sudafricano in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015), e Moffie (2019) e Living (2022)

 

IL PROTAGONISTA

BILL NIGHY
Caterham – Regno Unito
12 dicembre 1949

 

 

 

 

 

 

Bill Nighy è un attore molto acclamato di origine inglese. Nel 1991, divenne noto al pubblico televisivo per il suo ruolo del Professor Mark Carleton nella miniserie della BBC La stanza degli uomini. Da allora il talentuoso attore ha accumulato molti altri importanti riconoscimenti sia sul grande schermo che sul piccolo schermo.

Bill Nighy è nato a Caterham, una città nel distretto di Tandridge nel Surrey, sua madre Catherine Josephine aveva origini irlandesi mentre suo padre Alfred Martin Nighy era di origini inglesi. Mentre frequentava la John Fisher School, una scuola cattolica per soli ragazzi, Nighy faceva parte del gruppo teatrale della scuola. In seguito si è formato alla Guildford School of Acting. Da quando ha segnato il suo debutto sullo schermo nella serie della BBC Softly, Softly: Taskforce (1976), Bill Nighy è apparso in innumerevoli produzioni televisive, in particolare sulla BBC. Il brillante lavoro di Nighy come attore cinematografico e televisivo gli ha procurato un grande successo di critica nel corso degli anni.

 

 

La sua interpretazione nel film commedia di successo Love actually (2003) gli è valso numerosi riconoscimenti tra cui il Premio BAFTA 2003 per il miglior attore non protagonista.

Bill Nighy non è mai stato sposato. Tuttavia, ha avuto un coinvolgimento romantico a lungo termine con l’attrice inglese Diana Quick. Il duo si riunì nel 1981 dopo aver recitato in una commedia al Royal National Theatre di Londra. La loro relazione è durata per 27 anni durante i quali hanno avuto un figlio insieme. Si separarono amichevolmente nel 2008.
Sua figlia Mary Nighy è nata il 17 luglio 1984 e molto simile a suo padre, è attrice e regista.

 

L’attore è un appassionato amante del calcio ed è un sostenitore del Crystal Palace Football Club. È anche patrono di diverse organizzazioni di beneficenza, tra cui la Beneficenza per bambini del Crystal Palace, l’Ann Craft Trust e l’organizzazione benefica per bambini con sede a Londra “Scene & Heard”.

 

MGF