AZIONE/DRAMMATICO
Regia di Alex Garland – Gran Bretagna, USA, 2024 – 109′
con Nick Offerman, Kirsten Dunst, Wagner Moura
Il thriller di denuncia sociale “Civil War” scritto e diretto dal britannico Alex Garland (“Ex Machina”, suo è anche il copione di “28 giorni dopo”) ha destato attenzione, tra disagio, condivisione e dibattito. L’opera mette a tema il possibile sbandamento della società – il racconto è focalizzato sugli Stati Uniti, ma è applicabile a qualsiasi democrazia contemporanea –, preda di laceranti divisioni e violente contrapposizioni. Un mondo capovolto, senza più regole e tenuta sociale. Prospettiva del racconto lo sguardo di tre fotoreporter, l’occhio della camera, che rappresenta la prospettiva giornalistica e lo sguardo spettatoriale. Garland compone una suggestione dura, disturbante e profondamente realistica: il pericolo di scivolamento nel buio, nella violenza, di cui la Storia ci dà continuamente conto. Un’opera originale e al contempo debitrice di una riflessione cinematografica (ma non solo) sempre più ricorrente.
Uno storytelling distopico che sembra sempre meno fantastico e con ricorrenti punti di tangenza con il nostro oggi fragile e incerto. “Se dimentichi la storia – ha dichiarato Garland – sei destinato a ripeterla. È importante capire che nessuno è immune. Nessun Paese è immune da questo. Perché non ha niente a che fare con i Paesi, ha a che fare con le persone”. Il regista chiarisce da subito il perimetro narrativo del suo film: raccontare il rischio di implosione della democrazia, un rischio che più che fantastico corre veloce sui precedenti allarmanti della Storia. Sullo sfondo non c’è solo il collasso della Repubblica di Weimar a inizio XX secolo, ma anche gli avvenimenti di “ieri”, l’assalto tumultuoso nel gennaio 2021 a Capitol Hill, all’indomani del cambio di presidenza alla Casa Bianca.
“Civil War” si muove su due direttrici. Anzitutto sulle prime sembra che a conquistare il centro del racconto sia proprio lo smottamento della Nazione, con l’accurato storytelling di brutalità umane, efferatezze e buio sociale. In verità, appena si entra in partita con il film subito l’attenzione, il fuoco narrativo, si sposta sui protagonisti, i fotoreporter, chiamati ad addentrarsi nella tempesta e mostrarla, declinarla, al grande pubblico. “Civil War” approfondisce il ruolo e lo sguardo del giornalista-fotografo che sa spingersi a caccia della verità nelle zone d’ombra e nei territori più impervi dell’umano pur di trovare la notizia, lo scatto più incisivo e rivelatore. Garland si posiziona pertanto sulla linea di confine tra valore della professione, deontologia ed ebrezza da scoop che rischia però di avvitarsi in una vertigine di cinismo e mercificazione. Ci si domanda quale prezzo abbia la notizia, fino a che punto ci si possa spingere.
Punto di forza dell’opera è di certo la regia, potente e intensa. L’autore britannico ha saputo cogliere un tema di stringente attualità e proporlo in chiave efficace, problematica e assolutamente sfidante. Ci ha messo davanti a uno specchio più o meno deformante, ricordandoci che la salute della democrazia va custodita altrimenti con facilità si può (ri)scivolare nello smarrimento. La sua regia è vigorosa, serrata, livida: scuote e disturba lo sguardo dello spettatore, spingendolo a provare tanto empatia quanto allarme.
“Civil War” è un’opera acuta, provocatoria, da valorizzare: è un film denuncia, di impegno civile, dalle sfumature da thriller distopico, che direziona l’occhio della camera su un concreto pericolo per la democrazia.
Recensione della Commissione Nazionale Valutazione Film della Conferenza Episcopale Italiana
Tematiche
Amicizia, Donna, Emigrazione, Giovani, Giustizia, Guerra, Internet, Libertà, Mass-media, Media, Metafore del nostro tempo, Morte, Politica, Politica-Società, Potere, Razzismo, Solidarietà, Terrorismo, Violenza
Il film più provocatorio dell’anno, e il più costoso mai prodotto da A24, non offre spiegazioni bensì scuote dispiegando un violentissimo conflitto, ambientato in America ma rivolto più in generale al degrado della Democrazia.
Civil War è un film potente, intelligente, di enorme impatto visivo e con la capacità unica di far riflettere e assieme di appassionare, mentre ci guida in una distopia sinistramente verosimile.
Con Civil War il britannico Garland, già sceneggiatore per Danny Boyle e giunto al quarto film da regista, realizza un’opera incredibilmente immersiva e brutale, che accompagna lo spettatore a interrogarsi sul possibile futuro degli Stati Uniti e del Mondo, in un’epoca in cui le immagini del film risultano, purtroppo, estremamente familiari.
Recensioni
3,5/5 MYmovies
7/10 IGN Italia
3/5 Cineforum
IL CINEMA DISTOPICO
Un’utopia distorta, una speranza avariata, un’illusione di progresso che, invece di migliorarci, ci fa sprofondare dentro un baratro oscuro. La distopia non riesce ad essere una cosa sola, perché ha tante facce, infinite derive che rispondono alle tante degenerazioni di cui l’umanità si scopre capace. Se l’utopia è la prospettiva di qualcosa di meraviglioso, un ideale talmente perfetto da risultare poi irrealizzabile, la distopia è la sua copia carbone, ovvero la versione decadente di una società piena di contraddizioni. In ogni caso parliamo di scenari futuribili, di immaginari spinti verso un ipotetico domani, insomma di proiezioni. E, assieme a tanta letteratura di genere, non c’è stato posto più adatto del cinema dove continuare a proiettare un futuro abitato da ansie e critiche rivolte al mondo contemporaneo. Già molti anni prima che George Orwell aprisse l’occhio invadente del suo celebre Grande Fratello, in un romanzo capostipite del genere distopico (1984), la settima arte aveva dato alla luce un’opera che portava dentro di sé un profondo malessere pessimista. Quel capolavoro di Metropolis racchiudeva una serie di caratteristiche fondamentali di ogni distopia: la rigidità dell’assetto sociale, l’importanza centrale del contesto e la spiccata vena disfattista. L’algido 2026 ipotizzato da Fritz Lang apre la strada al cinema come descrizione di futuri nei quali è meglio non sperare, con il grande schermo pronto a tramutarsi in spauracchio di timori umanissimi. Così, passando per l’iper violenza londinese di Arancia meccanica e la putrida Los Angeles di Blade Runner, la distopia ha trovato nel grande schermo un terreno fertile per seminare dubbi e far germogliare messaggi preoccupanti. Ed eccoci dispersi nei labirinti, abitanti di distretti alle prese con giochi crudeli e megalopoli dominate da strane regole. È facile accorgersi di come ogni distopia si nutra di personaggi oppressi dal panorama sociale in cui vivono, vittime di leggi rigide e di equilibri (quasi) impossibili da scardinare.
Ma quali sono i maggiori e più famosi film distopici della storia del cinema?
THE LOBSTER (2015) di Giorgos Lanthimos
SNOWPIERCER (2014)di Bong Joon-Ho
HUNGER GAMES (2012) di Suzanne Collins
V PER VENDETTA (2005) di James McTeigue.
MATRIX (1999) dei fratelli Larry e Andy Wachowski.
L’ESERCITO DELLE DODICI SCIMMIE (1995) di Terry Gilliam.
BLADE RUNNER (1982) di Ridley Scott
ARANCIA MECCANICA (1971) di Stanley Kubrick
FAHRENHEIT 451 (1966) di François Truffaut.
METROPOLIS (1927) di Fritz Lang
MGF