VENERDI’ 26 MAGGIO

ORE 20.45

 

 

 

 

 

 

La scuola di specializzazione in psicoterapia integrata e di comunità Spic-Acof di Busto Arsizio presenta, con il patrocinio del comune di Busto Arsizio, “Il dolore del cibo”, tavola rotonda e performance teatrale sui disturbi del comportamento alimentare.

La scuola quadriennale Spic-Acof ha sede in via Andrea Costa 29 ed è riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. All’interno del suo percorso formativo è data grande attenzione al tema DCA. In questa tavola rotonda, nata in collaborazione con Jonas Varese Onlus e I.R.P.A., interverranno:
• Erika Minazzi, psicologa, psicoanalista, docente Spic e direttore Jonas Varese. Uno per tutti, uno per uno è la sua riflessione sulla cura dei disturbi alimentari che si deve necessariamente dispiegare a partire dall’unicità del soggetto che ne soffre. Un invito a restituire la singolarità del paziente celata sotto l’omologazione sintomatica.
• Eugenia Dozio, dietista clinica del Dip. di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi dell’Insubria e coordinatore scientifico di Villa Miralago, condividerà la sua analisi sul tema La tavola dell’altro, un focus sul corpo, sul grasso tangibile e immaginario e su ciò che insegnano i sintomi del disturbo alimentare.
• Michele Angelo Rugo, psichiatra, psicoanalista, filosofo, docente Spic e direttore sanitario della Residenza Gruber, svilupperà un intervento dal titolo Alimentare il desiderio, un gioco di parole che rimanda alla possibilità di modificare qualcosa sul piano affettivo, il desiderio appunto, e di conseguenza, modificare le modalità disfunzionali alimentari.

A seguire lo spettacolo ED RECOVERY, una pièce inedita che tratta di disturbi alimentari.

Ed Recovery è uno spettacolo che racconta persone vere, testimonianze riunite dalla penna dell’ attrice ed actor coach Lia Locatelli, direttore artistico di M.Art.E, a seguito di un percorso di un anno fatto con ragazzi e ragazzi che soffrono di disturbi alimentari.
Per dare voce a persone reali, non inventate, non romanzate.
Esso è quasi un’ istallazione, nella sua semplicità di scelte registiche, coadiuvate dal tecnico Niccolò Maggio, fonico, tecnico video e responsabile tecnico in dirette televisive Rai, Mediaset, Sky, Prima Della Scala 2020/2021.
Così, l’ emozionante interpretazione attorale si intreccia a scelte audio tecnologiche supportate da devices moderni, che alimentano la sensazione immersiva dello spettacolo.
Una regia nuova, moderna, per avvicinare il teatro ai giovani attraverso il LORO linguaggio. Tra le tecniche utilizzate per i Voice Over ed i contributi audio, emerge l’ASMR, di moda su Youtube, che rende la narrazione ancora più intima, ed i contributi video installativi rendono il tutto ancora più immersivo.
A condire il tutto, Caterina Rossi, che con le sue coreografie, sintetizza in maniera commovente stati d’ animo ed emozioni, rendendo catartici e liberatori momenti appositamente tensivi.
Il tutto arricchito da contributi video realizzati specificatamente per il progetto.
La sensibilizzazione sulla tematica, quindi, è il focus del lavoro.
#edrecovery sta per Eating Disorder Recovery hashtag comune sui social network, usato dai ragazz* che subiscono il ricovero ospedaliero coatto, quello atto a salvare loro la vita.
E sono sempre più in aumento. E sempre più piccoli.
Una piaga quella del disordine alimentare, che si è estesa a macchia d’ olio soprattutto negli ultimi anni, a causa anche all’ utilizzo di questi hashtag e dei social, sui quali nascono gruppi che istruiscono su come si possa celermente ed in maniera soddisfacente diventare anoressici o bulimici.
“Ed allora, se non ho futuro, se non potrò mai riuscire nell’ intento di fare ciò che desidero, nonostante il mio impegno, allora, perché vivo? Perché non scompaio?”

La cura, la calma, sembrerebbe arrivare dal CONTROLLO.
Ed Recovery è uno spettacolo per tutti, ma che strizza l’ occhio ai più giovani.
Provocatorio, crudo, brutale, senza mezzi termini. Vero. ED Recovery ti entra dentro. E’ un grido inascoltato. E le voci sono le LORO.
La prima di Ed Recovery nasce dalla collaborazione di M.Art.E con Jonas Varese, Associazione formata da psicologi e psichiatri e che si occupa di disturbo alimentare a livello nazionale.

Evento gratuito con prenotazione obbligatoria qui:

https://ticket.cinebot.it/fratellosole/

MGF

Fonti: VareseNews – M.Art.E SCUOLA DELLO SPETTACOLO di Varese

Commedia – 97′
Regia di Sophie Hyde – Gran Bretagna, 2022
con Emma Thompson, Daryl McCormack, Les Mabaleka

 

 

 

 

 

 

LA TRAMA

Nancy Stokes (Emma Thompson) è un’insegnante in pensione, vedova, con alle spalle un matrimonio solido e rigoroso a cui però è sempre mancato un po’ di brivido. Ormai sola, Nancy decide di cercare quello che nella vita di coppia non ha mai trovato: una soddisfacente esperienza sessuale. Si rivolge così a un’agenzia di gigolò e sceglie di incontrare Leo Grande(Daryl McCormack). Giovane e affascinante, Leo Grande sembra essere tutto quello per cui Nancy è pronta a pagare: un uomo in grado di realizzare le sue fantasie. Ma nel corso di tre incontri in una camera di hotel le dinamiche cambiano: Leo si dimostra non solo come un uomo con cui fare dell’ottimo sesso, ma anche una persona con cui parlare e nonostante la differenza d’età, tra i due nascerà un rapporto di fiducia che porterà Nancy a riscoprire se stessa.

 

LA RECENSIONE

EMMA THOMPSON BRILLA IN UNA COMMEDIA SULLA SEX POSITIVITY DAI RITMI SERRATI E DALL’ANIMO TENERO E DIVERTENTE.

Commedia brillante a sfondo sessuale che non disdegna un livello più profondo di analisi psicologica attorno ai temi di identità e sviluppo di sé, Il piacere è tutto mio diverte e coinvolge grazie ai dialoghi vivaci e serrati, magistralmente condotti da una Emma Thompson in grande spolvero che si ritaglia un ruolo memorabile. Le fa compagnia il giovane attore irlandese Daryl McCormack, in una di quelle prove che rischiano di far da battesimo a una star del futuro. Insieme duettano a colpi di gag, fraintendimenti, approcci falliti e – pian piano – una conoscenza più intima che tradisce i propositi iniziali di un rapporto professionale e di due identità fittizie.
Nella sceneggiatura della comica e autrice televisiva Katy Brand, l’ambientazione quasi totale della camera d’albergo (in una serie di incontri ripetuti) diventa il terreno levigato e artificiale di una battaglia per la definizione e il controllo delle proprie fantasie.
Spesso si parla di prove d’attore “coraggiose”, e in particolare quella di Thompson non può non considerarsi tale, per quanto il termine sia trito. Nel mettersi letteralmente a nudo davanti a uno specchio, l’attrice si fa carico del peso di conversazioni scomode non solo sulla sessualità, ma sul corpo delle donne, in particolare di una certa età, e di come e quanto esso possa mostrarsi.
La regista Sophie Hyde asseconda il tutto con una visione fresca e contemporanea della “sex positivity”, e una messa in scena pulita ed essenziale che lascia ampio spazio all’esercizio teatrale tra i due protagonisti. Tutto, nel film, è raffinato all’ennesima potenza.
Il piacere è tutto mio è una dissezione del vero e del finto, e soprattutto riesce nella missione di parlare di temi scomodi con una dolcezza e tenerezza di fondo che non può che catturare l’animo dello spettatore.

Tommaso Tocci – Mymovies

LA REGISTA

 

SOPHIE HYDE
Adelaide – Australia, 1977

 

 

 

Sophie Hyde è una regista, scrittrice e produttrice australiana nata asd Adelaide , South Australia .
È co-fondatrice della Closer Productions ed è nota per il suo pluripremiato film d’esordio, 52 Tuesdays (2013) e la commedia drammatica Animals (2019). Ha anche realizzato diversi documentari, tra cui Life in Movement (2011), un documentario sulla ballerina e coreografa Tanja Liedtke e serie televisive, come The Hunting (2019). Il suo ultimo film, Il piacere è tutto mio, è stato presentato in anteprima al Sundance Festival il 23 gennaio 2022 ed è uscito sulla piattaforma Hulu e nei cinema nel Regno Unito e in Australia.

 

LA PROTAGONISTA

EMMA THOMPSON
Londra, 1959

 

 

 

Emma Thompson è figlia e sorella d’arte. Dopo aver frequentato la Camden School, e il Newnham College di Cambridge, Emma entra in contatto con il mondo della recitazione come attrice in spettacoli comici e cabarettista: muove i primi passi nello spettacolo con il suo fidanzato Hugh Laurie (il futuro Dr. House), con cui recita nella sit-com “The young ones”; poi si dedica anche al teatro ed entra nel gruppo dei Footlights, che in passato ha visto nella proprie fila anche Eric Idle e John Cleese dei Monty Python. La serie “Thompson”, scritta per la Bbc, segna il suo passaggio ai ruoli drammatici. Poco dopo, mentre lavora a un’altra serie, “Fortunes of War”, incontra e si innamora di Kenneth Branagh: diventerà suo marito. Il sodalizio con Branagh diventa ben presto professionale: per lui, infatti, Emma Thompson recita in diverse pellicole.

Il talento di Emma cresce sempre di più, anche lontano dalla guida del marito: non è un caso che l’attrice conquisti, grazie a “Casa Howard” (1992) di James Ivory, un Oscar e un Golden Globe come migliore attrice.
L’Oscar, peraltro, arriva anche per la sceneggiatura dell’adattamento cinematografico di “Ragione e sentimento”, il celebre romanzo di Jane Austen.Le sue doti di attrice drammatica, però, non vanno a intaccare la sua spinta ironica, e il suo talento da commediante: in “Maybe baby” ritrova il suo vecchio compagno Hugh Laurie; pellicole più sofisticate sono, invece, “Carrington” e “Love actually – L’amore davvero”, al fianco di Alan Rickman e Hugh Grant.

 

L’intensità dei suoi ruoli drammatici, d’altra parte, si fa apprezzare nell’esordio alla regia dello stesso Rickman, “L’ospite d’inverno”, in cui la Thompson veste i panni di una vedova che deve fare i conti con una elaborazione del lutto dolorosa. Dopo aver divorziato da Branagh, Emma Thompson sposa nel 2003 Greg Wise, che le aveva già regalato nel 1999 una figlia, Gaia Romilly.

Il 2003 è evidentemente un anno magico, visto che, insieme con Alan Rickman, la Thompson entra a far parte del cast della saga di Harry Potter: nel ruolo della professoressa di Divinazione della scuola di Hogwarts, Sibilla Cooman, prende parte a “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, “Harry Potter e l’ordine della fenice” e “Harry Potter e i doni della morte: parte II”.

 

BORROMINI E BERNINI. SFIDA ALLA PERFEZIONE

Martedì 16 maggio ore 21.00

Docufilm diretto da Giovanni Troilo

E’ il racconto della rivoluzione architettonica di un genio solitario che cambia per sempre l’aspetto di Roma attraverso una sfida personale alle convenzioni e ai pregiudizi, con l’umiltà di apprendere dal passato per inventare il futuro, con il coraggio di portare avanti un’idea pagandone il prezzo fino in fondo.

BERNINI E BORROMINI: IL DIVINO FATTOSI MARMO

Star Trek o Star Wars?
Beatles o Rolling Stones?

C’è chi dice che si può capire molto di una persona dalle risposte a queste domande, ma quando ancora John Lennon e Spock non erano ancora in circolazione, la vera domanda era: Gian Lorenzo Bernini o Francesco Borromini?
Ebbene sì, pare che la rivalità tra i due, sebbene i soggetti del contendere non si siano mai nemmeno presi a male parole, dividesse il mondo occidentale durante il Seicento e nel periodo successivo.
In effetti, si parla di due artisti che, ognuno a modo proprio, hanno fatto grande la storia dell’arte, in particolare in quel di Roma, capitale non solo della Cristianità ma anche dell’arte: la dimostrazione della grandezza di un artista era infatti ricevere una convocazione da parte del Pontefice per contribuire alla costruzione e decorazione della Città del Vaticano.
E, come ben sappiamo, tutta Roma ancora brilla grazie alle opere immortali di Bernini e Borromini.

Il Colonnato di Bernini, iniziato nel 1656, è probabilmente una delle opere più finemente meditate mai realizzate: Bernini dovette tener conto dell’impressionante facciata di Maderno, che doveva risaltare, della cupola di Michelangelo, nonché di esigenze tecniche quali favorire l’imponente afflusso di fedeli, garantire una buona acustica e restare fedele al simbolismo numerico a cui il Papa teneva molto.

Il risultato, ottenuto dopo undici anni di lavori in costante riprogettazione, è un insieme armonico e accogliente, che sembra quasi dare un abbraccio di benvenuto al fedele; è anche una meravigliosa cornice che non devia l’attenzione dall’architettura preesistente: è semplicemente lì, una parte del paesaggio così perfetta e naturale che quasi non attira l’occhio, quantomeno non in un primo momento.

Bernini è anche l’autore del progetto, poi ultimato da Borromini, del maestoso baldacchino che sovrasta l’altare maggiore di San Pietro: l’immensa struttura sembra espandersi a dismisura, grazie anche all’effetto delle colonne tortili che creano spirali senza fine, quasi a voler raggiungere i Cieli.
Insomma, un artista che incarna in sé il concetto di “sublime” kantiano: non una mera iperbole dell’aggettivo “bello”, ma qualcosa di più: opere tanto maestose, tanto imponenti, che sembra quasi di scorgere l’Onnipotente in esse.

Ed eccoci dunque di fronte a un’opera, tremanti e inquietati e tuttavia incapaci di distogliere gli occhi.
Un turbamento, forse, che Borromini percepiva già da allievo e collaboratore di Bernini.
L’animo umano anela al bello, ognuno di noi desidera provare emozioni intense, restare senza parole di fronte alla meraviglia… ma forse, certe volte abbiamo solo bisogno di sederci e lasciarci cullare da prospettive armoniche, senza sentirci schiacciati.
Ed è qui che Borromini si distacca da Bernini: la sua arte è più pacata, moderata nelle dimensioni. Fu infatti molto apprezzato dagli ordini monastici, che non desideravano architetture maestose.

Borromini prende l’arte di Bernini e la riduce a dimensioni umane, rende umano il divino, ricordandoci con grazia che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e che il timore che proviamo altro non è che amore, e desiderio di avvicinarci a Lui quanto più possiamo nella nostra piccolezza e imperfezione.

E forse, come preferire i Beatles ai Rolling Stones nulla toglie a Keith Richards, così preferire Bernini o Borromini non è, di fatto, l’espressione di spregio nei confronti dell’altro: è semplicemente la riprova millenaria che per quanto siano grandi le nostre differenze, per quanto possiamo amare maggiormente una cosa rispetto ad un’altra, siamo tutti uniti nel condiviso anelito a contemplare la bellezza, che sia quella maestosa di un mare in tempesta o quella modesta ma non per questo meno importante di un fiorellino spuntato da una crepa nel
terreno.

Beatrice Fiorello
Dott.ssa in Scienze dei Beni Culturali

Drammatico – 158′
Regia di Todd Field – USA, 2022 –
con Cate Blanchett, Noémie Merlant, Nina Hoss.

 

 

 

 

 

LA TRAMA

Lydia Tár è una rinomata musicista in procinto di incidere la sinfonia che rappresenterà il picco della sua incredibile carriera. Quando la fortuna sembra volgere contro Lydia, la figlia adottiva di sei anni, Petra, rappresenterà un sostegno emotivo fondamentale per la madre.
Lydia Tár è considerata una delle più grandi direttrici e compositrici del panorama internazionale, ed è il primo direttore donna della Filarmonica di Berlino.
La sua energia è straripante, e non si ferma dinanzi ad alcun ostacolo: promuove continuamente progetti, tra cui la prossima registrazione dal vivo della Sinfonia numero cinque di Mahler. I suoi riferimenti fondamentali sono Francesca Lentini, la sua assistente personale, e Sharon Goodnow, la sua compagna e primo violino dell’orchestra berlinese.
Un giorno, Lydia incontra Eliot Kaplan, un direttore d’orchestra che gestisce un programma di borse di studio che la Tár ha fondato, per consentire a giovani donne di diventare a loro volta direttrici. Vorrebbe infatti sostituire il suo assistente direttore Sebastian Brix con Francesca. In seguito, Lydia si reca alla Juilliard, lì dove criticherà aspramente uno studente per le sue posizioni in merito ai maestri classici: la Tár non accetta che i suoi allievi non riescano ad andare oltre la superficie delle apparenze.
Quando riceverà un romanzo inviato da Krista Taylor, un’allieva che è passata dal programma delle borse di studio, Lydia tradirà un certo nervosismo, tanto da promettere a sé stessa di impedire alla donna di scalare le posizioni per arrivare a essere a sua volta una direttrice d’orchestra. Nel frattempo, un’audizione per un posto di violoncellista le farà conoscere Olga, una ragazza russa molto promettente della quale Lydia si assicurerà i favori, suscitando la reazione infastidita di Francesca e Sharon, con le quali i rapporti diventeranno sempre più complicati.
E non soltanto con loro: anche Sebastian, dopo aver compreso di essere prossimo all’avvicendamento, si scaglierà contro Lydia, accusandola apertamente di dare luogo a favoritismi secondo le sue volontà e desideri personali, e non seguendo un criterio meritocratico. Adirata, Tár rifletterà sulle scelte da intraprendere.

LA RECENSIONE

UNA COSTRUZIONE DRAMMATICA AFFASCINANTE, ENIGMATICA E COINVOLGENTE, NONOSTANTE IL RITMO MOLTO DILATATO.

Si può essere artisti senza “fare della propria vita un’opera d’arte”, come invece predicava Oscar Wilde? Ha senso ascoltare un brano ignorando la storia del suo autore? E quale ruolo giocano i social network in un contesto dove “essere accusati equivale a essere colpevoli”, citando appunto un dialogo di Tár? Dobbiamo piegare il valore estetico dell’opera al giudizio umano dell’artista, come fa un personaggio del
film persino nei riguardi di Bach? Si tratta di domande complesse a cui il regista Todd Field nega saggiamente risposte assolute, e non perché Tár affronti la questione in maniera pavida; piuttosto, ci consegna le chiavi per decifrare autonomamente il fenomeno, esaminandone tutte le implicazioni a livello culturale e “tecnico”: prende in esame quindi le conseguenze del COVID, il ruolo dei social network, l’impatto del
movimento Me Too sull’opinione pubblica ma anche problemi di carattere teorico come il rapporto tra estetica e etica nell’opera d’arte. Per offrire allo spettatore un quadro oggettivo, il film si serve di un personaggio (fittizio) così vivo, controverso e sfaccettato, da ispirare contemporaneamente sia empatia che repulsione, merito soprattutto di una straordinaria Cate Blanchett.

Tár sposa a livello stilistico anche il medesimo rigore intellettuale della protagonista, evocandone la malcelata fragilità, la solitudine e l’incapacità di provare sentimenti se non attraverso la musica; lo sguardo severo ma equidistante del regista non lesina, insomma, un elemento di comprensione ed empatia, capace di conferire ulteriore verità al resoconto. Il film ritrae infatti la paralisi emotiva del nostro mondo, che si identifica con la morale semplificata dei social network (“architetti della vostra anima”, parole di Lydia Tár) oppure langue nel
cinismo. Ed è anche una riflessione sul gelo dei rapporti interpersonali dopo il Covid, sulla paura dell’altro e l’abitudine a rimanere soli. Tutto questo finisce inevitabilmente per generare ricadute sull’industria culturale e i suoi interpreti, perché in fondo come fai a vendere emozioni se non provi più nulla? Per fortuna, la potente riflessione di Todd Field sul rapporto tra linguaggio e senso non sconfina mai in un ozioso esercizio metalinguistico ma procede, anzi, con forza ipnotica verso un finale misterioso e affascinante, costruendo un’opera originale, suggestiva e ricca, ma soprattutto estremamente rilevante.

Marco Iannini – IGN Italia

IL REGISTA

 

TODD FIELD
24 febbraio 1964
Pomona, California (USA)

 

 

 

 

Todd Field è uno dei rappresentanti più sfaccettati dell’industria cinematografica americana. Ha lavorato come attore, produttore, compositore, sceneggiatore e, infine, come regista. Todd Field nasce a Pomona, in California, dove la sua famiglia gestiva un allevamento di pollame. All’età di due anni, i suoi genitori decidono di lasciare quel tipo di attività e di trasferirsi a Portland, in Oregon, dove suo padre lavorerà come commesso viaggiatore e sua madre come bibliotecaria scolastica.
Appassionato di musica jazz fin dai sedici anni, sarà questo genere a fargli conoscere il futuro vincitore di un Grammy Award Chris Botti. Intanto, si avvicinava anche al cinema, e dopo essersi diplomato si trasferisce a New York per studiare recitazione. Abile musicista jazz, entra a far parte dell’Ark Theater Company, con cui si esibisce sia come attore che come musicista. Nel 1987 debutta sul grande schermo con una piccola parte in “Radio Days” di Woody Allen. Field alternerà piccolo e grande schermo lungo tutti gli Anni Ottanta-Novanta, senza mai riuscire a emergere veramente. Nel 1994 riceve la nomination al Sundance Film Festival come miglior attore non protagonista per la
sua interpretazione in “Ruby in paradiso” (di cui è anche autore dellle musiche) di Victor Nunez.
Dopo aver girato una serie di cortometraggi tra cui “When I was a boy” (1993), proiettato al Museum of Modern Art e “Nonnie & Alex”, pluripremiato negli Stati Uniti, nel 2002 esordisce alla regia di lungometraggi con “In the Bedroom”, pellicola vincitrice, fra l’altro, di un riconoscimento della American Film Award, del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival e candidata a cinque premi Oscar. Dopo quattro anni, arriva “Little Children”, basato sull’omonimo romanzo di Tom Perrotta. Ancora una volta, Field conquista una candidatura per la sceneggiatura non originale.


Si staccherà dalla letteratura per il suo terzo film, “Tár”, acclamato successo di recitazione, regia e sceneggiatura e che segnerà il suo ritorno al cinema dopo ben sedici anni di assenza. Anni spesi, ha dichiarato Todd Field, a prendersi cura e a far crescere i propri figli.
Todd Field è sposato con la costumista e sceneggiatrice Serena Rathbun fin dal 1986.

La coppia ha lavorato spesso insieme e i due sono diventati genitori degli attori Alida P. Field e Henry Field.

 

MGF

GLI SPIRITI DELL’ISOLA
Drammatico – 114′
Regia di Martin McDonagh
Irlanda, USA, U.K, 2022
con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon

 

 

 

 

 

LA TRAMA

Gli Spiriti dell’Isola è ambientato alla fine della guerra civile irlandese, nel 1923, su un’isola al largo della costa occidentale dell’Irlanda. Racconta la storia di due amici di lunga data, Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell) e Colm Doherty (Brendan Gleeson). I due si trovano in una situazione di stallo, dopo che il musicista Colm ha deciso bruscamente di porre fine alla loro amicizia. Pádraic, confuso e devastato, tenta di ricucire il loro rapporto, ma pare che Colm lo trovi improvvisamente troppo noioso e sia intenzionato a trascorre più tempo nella composizione di musica e a fare altre cose di qualità.
Pádraic, benvoluto da tutti sull’isola, non riesce a capire come Colm possa arrivare a tanto, evitando ogni suo tentativo di confronto. A nulla è servito l’intervento di Siobhan (Kerry Condon), sorella di Pádraic, e di Dominic (Barry Keoghan), un problematico figlio del poliziotto locale, che speravano di appianare la critica situazione tra i due.
Mentre all’interno della piccola comunità isolana sembrano giorno dopo giorno aumentare le preoccupazioni, Colm decide di lanciare uno scioccante ultimatum a Pádraic per concretizzare le proprie intenzioni: se continuerà a infastidirlo, compierà un atto scellerato. Sarà da questo momento che gli eventi inizieranno a degenerare…

 

LA RECENSIONE

UNA TRAGICOMMEDIA METAFORA DELLA DIVISIONE FRATRICIDA CHE SEGNA L’IRLANDA DAGLI ANNI DELLA GUERRA CIVILE.

Irlanda, 1923. I migliori amici Pádraic e Colm s’incontrano da una vita alle due del pomeriggio per qualche pinta al pub e le solite chiacchiere. Un giorno, però, Colm non apre la porta di casa all’amico, e in seguito, costretto a fornire una spiegazione, afferma di averne abbastanza di lui e di non voler spendere un minuto di più in sua compagnia.
Devastato e incapace di accettare la cosa, Pa’draic cerca l’aiuto della sorella e poi del parrocco perché parlino con Colm, ma quest’ultimo non solo non ritratta, ma minaccia il peggio se Pa’draic non lo lascerà in pace. Mentre sul continente infuria la guerra civile, sull’immaginaria isola di Inisherin, che si è sempre considerata al riparo dal conflitto, l’allontanamento di due amici fraterni innesca ugualmente una serie di conseguenze e un’escalation di atrocità. Martin McDonagh riunisce la coppia protagonista del suo film d’esordio (In Bruges) e la blocca in un avamposto rurale e isolato, al largo della costa occidentale dell’Irlanda (le location reali sono le le isole di Inishmore e Achill), insieme ad
una manciata di pochi altri abitanti incattiviti dalla solitudine, suggestionati dalle leggende, terrorizzati da una vita che spesso si traduce in quotidiana attesa della morte.
McDonagh scrive una parabola sul dialogo tra sordi nella quale commedia e tragedia si rincorrono e sovrappongono, in un microcosmo che è specchio ed effetto della storia d’Irlanda.
Chi sragiona di più, fra questi sentieri erbosi controllati da una statua della Madonna e da una vecchia con la pipa, dove i giovani sono contrari alla guerra e al sapone, non ci sono donne né cultura, e la solitudine è così imperante che persino gli animali tentano di entrare in casa in cerca di compagnia? È più ottuso Pádraic, che si comporta come un fidanzato scaricato, geloso e ferito, o Colm Sonny Larry, che teme di non aver più molto tempo da sprecare e si sveglia un giorno pieno di velleità artistiche e stufo delle chiacchiere inutili, fossero anche quelle del suo unico amico? Quel che è certo è che entrambi tengono radicalmente fede alla parola data, anche quando questa parola è maledettamente stupida.
Colin Farrell e Brendan Gleeson, ribaltamenti antieroici di Michael Collins e Eamon de Valera, sono gli strepitosi protagonisti di questa riflessione sui compromessi dell’amicizia e le diaboliche tentazioni dell’individualismo, annegata nello humour e investita di fascino e
di libertà dall’ambientazione e dalla scelta dell’epoca. Una barca a vela di legno, che i venti del talento e gli spiriti dell’ispirazione fanno volare veloce e leggera dentro la tempesta.

Marianna Cappa – Mymovies

 

IL REGISTA

MARTIN MCDONAGH
Camberwell, Regno Unito
26 marzo 1970

 

 

 

 

 

 

Famoso commediografo inglese di origini irlandesi. I suoi genitori sono infatti originari del Galaway, contea irlandese sulla costa occidentale. Cresce a Londra ma resta legato alla terra d’origine dei suoi genitori tanto da ambientarvi tutti i suoi lavori teatrali. Con la sua prima opera teatrale ‘The Beauty Queen of Leenane’ vince molti premi internazionali, tra cui, nel 1996, l’Evening Standard Award per il miglior
commediografo emergente. Il successo ottenuto lo porta a scriverne due episodi successivi (‘A Skull in Connemara’ e ‘The Lonesome West’) facendone così una trilogia, ‘The Leenane Trilogy’. A questa segue una seconda trilogia, ‘The Aran Islands Trilogy’, con cui conferma la sua popolarità ottenendo riconoscimenti in tutto il mondo.

Nel 1997, all’età di 27 anni, è il primo drammaturgo dopo Shakespeare ad avere ben quattro spettacoli rappresentati simultaneamente nei teatri del West-End di Londra.
Dopo i successi tutti teatrali, nel 2005 si interessa anche di cinema, e già con il primo lavoro, ‘Six Shooter’, da lui scritto e diretto, arriva addirittura a vincere l’Oscar per il miglior cortometraggio. Dopo un esordio così importante anche nel campo cinematografico, tre anni dopo si cimenta nel lungometraggio ‘In Bruges – La coscienza dell’assassino’, con Colin Farrell, Ralph Fiennes e Brendan Gleeson, per il quale ha vinto un Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Il suo secondo film, Seven Psychopaths, uscirà a settembre 2012.
Ancora una volta, siamo davanti a un soggetto cinico, astuto e assolutamente divertente, all’interno del quale si miscelano commedia, noir, western e pulp alla Tarantino. Spezza queste peculiari caratteristiche il drammatico e oscuro “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (2017) Il film riceve due candidature, una per il miglior film e l’altra per la migliore sceneggiatura originale, non vince, ma è un successo internazionale senza precedenti nella sua carriera.

MGF