COMANDANTE
Regia di Edoardo De Angelis – Italia, 2023 – 120′
con Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh
IL GIUSTO E LO SBAGLIATO NELL’ABISSO DELLA STORIA
Nell’oggettività storica, che resta fondamentale, il film di Edoardo De Angelis potrebbe essere meno controverso di ciò che mette in scena,
prendendosi la briga di raccontare una storia – o meglio un personaggio – estremamente interessante, appartenuto ad un’altra epoca e ad
un’altra Italia. È meno controverso di ciò che sembra, perché dietro l’altisonante titolo, Comandante, viene messo in scena il confine sfocato
tra il giusto e lo sbagliato (dettato dalle gesta, e non dagli ordini militari), in un contesto storico in cui il male imperversava sul bene.
Epoca di guerre mondiali, di ideologie, di popoli gli uni contro gli altri, in cui le leggi del potere incrinavano le leggi divine.
Avvolto da una coltre cupa, quasi horror, e volutamente claustrofobica, Comandante riporta in superficie nobiltà disobbedienti e lo spirito umano, nel bel mezzo di un conflitto terrificante. Ma ogni guerra è fatta dalle storie degli uomini, pedine di uno scacchiere in cui il potere schiacciava qualsiasi bagliore di luce. La stessa luce che De Angelis risucchia nelle profondità dell’Oceano, solcato da un “pesce d’acciaio” pieno di “uomini che vanno a morire”. Uomini che De Angelis tratteggia come se fossero un sunto dell’Italia, pregi e difetti compresi. C’è l’umanizzazione, quindi, ma c’è anche la presa di coscienza di narrare una storia inerente al contesto storico, ma in qualche modo avulsa per
l’umore e le caratteristiche del suo ingombrante protagonista, sorretto da un fascino cinematografico che catalizza l’attenzione. Fascino dovuto anche alla presenza di Pierfrancesco Favino, che indossa la maschera con l’accento veneto di Salvatore Todaro, comandante del
sommergibile Cappellini della Regia Marina.
Siamo nel 1940, e mentre risale l’Atlantico, passando lo Stretto di Gibilterra, si imbatte in un mercantile battente bandiera belga. Scontro a fuoco, missili che fischiano, l’oceano che ribolle. Esperto marinaio, uomo di mare, Todaro affonda la barca e, seguendo le leggi auree del mare, salva i ventisei superstiti, portandoli poi verso il porto sicuro più vicino. Un frammento di storia dimenticata, la parentesi fugace di una Guerra Mondiale portata all’estremo, in cui il gesto umano di un fascista diventa materiale per un film che sfrutta la messa in scena immersiva per addentrarsi nelle caratteristiche di un uomo ancora prima che di un militare: Todaro era un devoto alle leggi del mare, rispondendo prima alla sua coscienza, e solo dopo agli ordini del potere.
L’intento di Edoardo De Angelis in Comandante, dunque, è un pretesto per parlare di umanità, rintracciata anche dove non dovrebbe esserci. Eppure, la bellezza di un gesto compassionevole (e di rottura), soppesando i libri di storia, dovrebbe sempre essere valutato per il gesto in sé, provando – per quanto possibile – a mettere da parte il giudizio. Ciò che viene fuori allora è la moralità di un personaggio, intransigente verso se stesso e incongruente verso gli aberranti dogmi dell’asse Roma-Berlino. La solida e istantanea regia di De Angelis sfrutta l’ottimo sound
design, l’opprimente scenografia d’acciaio, e se il personaggio è chiaramente il traino, Comandante potrebbe però non approfondirlo il necessario nei suoi aspetti più arcani, nei suoi tormenti, nella sue occulte ossessioni. Ma ciò che resta alla fine di Comandante è l’analisi logica del paradigma biforcato: il giusto e lo sbagliato non hanno bandiere, non hanno colori, non hanno confini. Né ieri, né tantomeno oggi.
Damiano Panattoni – Movieplayer
Un’opera piena di significato, che ridefinisce gli equilibri di una guerra, con una straordinaria interpretazione di Favino
Recensioni
3,4/5 MYmovies
7/10 Everyeye Cinema
3/5 Movieplayer
SALVATORE TODARO (1908 – 1942)
Nato a Messina nel 1908 da famiglia di origine agrigentina, Salvatore Todaro cresce a Sottomarina di Chioggia, dove sviluppa la passione per il mare. La vicenda di Salvatore Todaro è straordinaria. Entrato all’Accademia navale di Livorno nel 1923, nominato guardiamarina nel 1927 e tenente di vascello l’anno successivo, dopo un corso specifico venne assegnato a un reparto idrovolanti come osservatore. Il 27 aprile 1933, a La Spezia, il suo aereo (un Savoia-Marchetti S.55) ebbe un incidente, e Todaro subì una grave lesione alla colonna vertebrale: chiese e ottenne di restare in servizio attivo, ma da allora fu costretto a portare un busto in ferro che gli causava sofferenze tali da costringerlo in casi estremi a ricorrere alla morfina. Passato ai sommergibili, nel maggio del 1937 gli venne affidato il battello costiero H.4, e poi – sempre durante la Guerra Civile Spagnola – il Macallè e il Jalea, classificati “da piccola crociera”.
Il 1° luglio 1940, meno di un mese dopo l’entrata in guerra del Regno d’Italia contro l’impero britannico e la Francia, Todaro fu promosso capitano di corvetta al comando del Luciano Manara; finalmente, dal 26 settembre, gli venne affidato il nuovo sottomarino oceanico Cappellini, una delle 11 unità della classe Marcello, che rappresentava allora il meglio di cui disponesse la flotta sommergibili della Regia Marina: 73 metri di lunghezza e 1.060 tonnellate di dislocamento in emersione, armato con due cannoni da 100 mm in coperta, due impianti binati di mitragliatrici antiaeree Breda da 13,2 mm e otto tubi lanciasiluri da 533 mm, con una dotazione di 16 siluri.
Il Cappellini salpò da La Spezia il 28 settembre 1940 diretto alla nuova base dei sommergibili italiani a Bordeaux (nome in codice Betasom); Todaro riuscì a forzare lo stretto di Gibilterra – sfuggendo ai cacciatorpediniere britannici e ai campi minati – e iniziò la sua prima crociera atlantica il 3 ottobre. Dodici giorni dopo, alle 23:15 del 15 ottobre, navigando in superficie, il Cappellini avvistò una nave che procedeva a luci spente; Todaro decise di attaccarla, benché non fosse certo della sua nazionalità, visto che alle navi neutrali era vietato procedere in oscuramento totale: “È una nave con un cannone che naviga a luci spente in zona di guerra. Io la affondo”.
Ben presto si trovò preso di mira dal pezzo di coperta del mercantile. Il Cappellini manovrò per offrire il minimo bersaglio al nemico, contemporaneamente portando in batteria entrambi i cannoni da 100 mm, che colpirono più volte la nave, incendiandola. Finalmente Todaro poté distinguerne il nome e la bandiera: era il Kabalo, piroscafo belga di 5.186 tonnellate di dislocamento. Un mercantile di un Paese ancora neutrale.
Quando il Kabalo andò a fondo, gli uomini del Cappellini avvistarono prima cinque uomini in acqua, prontamente recuperati, poi una lancia con 21 persone a bordo, tra cui il comandante del mercantile, il capitano Georges Vogels. Todaro prese allora una decisione coraggiosa, che andava contro gli ordini cui dovevano attenersi i sottomarini in zona di guerra: non abbandonare i naufraghi, ma rimorchiare la scialuppa fino al porto sicuro più vicino, nelle Azzorre, distante quasi 400 miglia. Per procedere più rapidamente, Todaro fu costretto dopo un giorno di navigazione ad accogliere a bordo tutti i superstiti del Kabalo, molti sistemati nella falsatorre di coperta: da quel momento il Cappellini procedette in condizioni di sovraffollamento tali da impedire l’immersione, una scelta che esponeva il sommergibile alla distruzione certa qualora avesse incontrato unità di superficie o aerei nemici. Cosa che accadde davvero il mattino del 18 ottobre, quando incrociò la rotta di un convoglio inglese: ma Todaro, dopo essere stato bersagliato da una delle navi di scorta, trasmise un messaggio in chiaro in cui spiegava la situazione – aveva naufraghi belgi a bordo, e stava navigando per portarli in salvo, quindi chiedeva… una tregua. Il commodoro britannico si fidò di lui, diede ordine di cessare il fuoco e lo lasciò passare.
Il Cappellini raggiunse le Azzorre all’alba del 19 ottobre; tutti i superstiti del Kabalo vennero sbarcati sani e salvi e sopravvissero alla guerra.
Per questo venne redarguito dal comandante in capo dei sommergibilisti tedeschi, Karl Dönitz, che lo apostrofa con l’epiteto di “Don Chisciotte dei mari”. La replica di Todaro è secca: “Sono un italiano, ho duemila anni di civiltà sulle spalle, e queste cose continuerò a farle”.
Dopo una seconda crociera in Atlantico, durante la quale affondò prima il mercantile armato Shakespeare (5 gennaio 1941) e poi il piroscafo Eumaeus, adibito al trasporto truppe (14 gennaio 1941), entrambi britannici ed entrambi a cannonate (Todaro era uno strano sommergibilista, visto che si fidava poco dei siluri), chiese e ottenne di essere trasferito alla Xa flottiglia MAS. Nonostante i successi, e i pericoli costanti delle operazioni nell’oceano, Todaro cercava un altro tipo di combattimento: era fatto per guidare uomini e mezzi all’assalto in superficie, e poté farlo durante il duro assedio di Sebastopoli, in Crimea, dove si guadagnò la terza medaglia d’argento al valore militare (giugno 1942).
Rientrato brevemente in patria, nel novembre 1942 venne assegnato al comando del motopeschereccio armato Cefalo che operava dall’isola di La Galite, a nord della costa della Tunisia: qui pianificò un audace attacco contro la base nemica di Bona. Al termine della missione, mentre rientrava in porto, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1942 il Cefalo venne mitragliato a bassa quota da uno Spitfire britannico. Todaro rimase ucciso da una scheggia. Il comandante, cui venne conferita la Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria, è sepolto a Livorno, dove abita la seconda figlia, venuta alla luce dopo la sua morte. Il suo ricordo e il suo esempio sono vivi nella Marina militare grazie al sottomarino S-526 Salvatore Todaro, entrato in servizio nel 2006.
Di personalità poliedrica e anticonformista, Todaro era monarchico convinto e cattolico osservante ma aveva anche approfondito pratiche eterodosse ed esoteriche come lo yoga, l’occultismo e lo spiritismo, delle quali si serviva durante le missioni. È stato soprannominato “Mago Baku” dall’equipaggio sul Cappellini a causa delle intuizioni improvvise grazie alle quali è riuscito più volte a salvare l’imbarcazione.
Sposato nel 1933 con Rina Anichini, ha avuto due figli: Gian Luigi(1939-1992) e Graziella Marina (1943), nata pochi mesi dopo la sua morte.
A lui sono intestate una piazza e una scuola primaria di Chioggia. Nel 2023 la Fondazione Gariwo lo ha inserito nell’Enciclopedia dei Giusti dell’Umanità e un olivo sarà piantato in suo onore nel Giardino dei Giusti di Civitavecchia.
Alla sua morte, tra i suoi effetti personali viene rinvenuta la lettera che gli era stata scritta due anni prima dalla moglie di un marinaio dell’equipaggio di una nave nemica: “Esiste un eroismo barbaro e un altro davanti al quale l’anima si mette in ginocchio: il vostro. Siate benedetto per la Vostra bontà che ha fatto di Voi un eroe non soltanto dell’ Italia ma dell’umanità intera”
Morirò quando il mio spirito sarà lontano da me.
S. Todaro
Fonti: FOCUS STORIA – MARINA MILITARE – FONDAZIONE GARIWO
MGF